Export di cibo italiano in Russia in diminuzione

L’export di cibo italiano in Russia è tutt’ora in diminuzione, si evidenzia, infatti, nel mese di maggio 2018 un calo delle esportazioni pari all’11% in confronto allo stesso periodo nell’anno passato. A tal proposito, la Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti (Coldiretti) ritiene significativa la riapertura dei dialoghi fra il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin e il Presidente degli USA Donald Trump per realizzare i presupposti che permettano di oltrepassare le sanzioni e l’embargo totale russo su numerosi alimenti stranieri. Difatti, secondo la Coldiretti le esportazioni dei prodotti agroalimentari italiani verso la Federazione Russa nel primo quadrimestre del 2018 sono diminuite dell’1,2%.

Come se non bastasse, le conseguenti tensioni in ambito commerciale hanno reso problematiche anche le esportazioni di altre merci non colpite in maniera diretta dall’embargo e dalle contro sanzioni russe. Al riguardo, si riscontrano dei cali anche per le esportazioni italiane di merci provenienti, ad esempio, dal settore dell’abbigliamento, dell’arredamento, delle automobili e delle tecnologie, oppure per l’export di farmaci o di alimenti e bevande come l’olio, il caffè e il vino.

In particolare, il decreto del Cremlino di Mosca del 2014, recentemente prorogato fino all’anno 2019, prevede il divieto d’ingresso e, quando necessario, il relativo sequestro dei cibi prodotti dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti d’America, dal Canada, dall’Australia e dalla Norvegia. Si tratta di prodotti come frutta, verdura, carne, pesce, insaccati e formaggi. Dunque, le spedizioni di prodotti Made in Italy verso la Russia sono state completamente cancellate con conseguenti perdite di guadagni e di immagine, danni alle operazioni commerciali, ai lavoratori, ai progetti in atto e ai rapporti economici ed anche con la circolazione sul mercato russo di prodotti agroalimentari ispirati a quelli italiani, ma di qualità ovviamente inferiore.

A questo proposito, bisogna evidenziare che le sanzioni subite dalla Russia ad opera degli Stati Uniti d’America e dell’Unione Europea hanno indotto la Federazione Russa non solo a mettere sotto embargo diverse merci e materie prime provenienti da questi stati, ma anche a prediligere la produzione in loco di numerosi prodotti agroalimentari. Al riguardo, la produzione in loco è una scelta che è già stata abbracciata dalla Germania e verso cui si è indirizzata anche la Francia. Ne sono un esempio il Gruppo Metro Cash and Carry tedesco e la catena francese di supermercati Auchan attivi da molti anni sul territorio italiano e a livello internazionale.

Le conseguenze delle sanzioni alla Russia

Secondo il Direttore Pier Paolo Celeste dell’Ufficio dell’Istituto Nazionale per il Commercio Estero (ICE) presente a Mosca, ossia l’organismo per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, il perdurare delle sanzioni alla Federazione Russa e delle contro sanzioni russe come ritorsione protrae le penalizzazioni ai danni delle aziende di Export italiane. Più nello specifico, fra gli anni 2013 e 2017 si sono registrate diminuzioni importanti delle esportazioni italiane nella Federazione Russa, in particolare di ortaggi e di carni lavorate, nonché una riduzione negli ultimi 2 anni della quota di mercato dei latticini Made in Italy che ormai ha raggiunto valore zero.

A tal riguardo, in base alle analisi effettuate sui dati rilasciati dalla dogana russa, le perdite derivanti dal calo delle esportazioni delle aziende italiane verso la Russia negli ultimi 5 anni si aggirerebbero intorno alla cifra di ben 780 milioni di euro. Dunque, le limitazioni e le sanzioni alla Russia da parte degli USA e dell’Unione Europea, soprattutto nel settore militare, petrolifero e finanziario, e le contro sanzioni russe costano alle esportazioni agroalimentari italiane perdite pari a circa il 28% ed un peggioramento degli scambi commerciali fra l’UE e la Russia.

Precisamente, si è passati dalla cifra di 1.069 milioni di euro per le esportazioni italiane effettuate prima del 2013 ai 768 milioni di euro attuali per l’export di cibo italiano in Russia, con una differenza di ben 301 milioni di euro. Per concludere, è opportuno sottolineare che la riduzione dell’export di cibo italiano in Russia negli ultimi anni è dovuta anche alla diminuzione della possibilità per il popolo russo di spendere denaro sia per la crisi economica da cui si stanno riprendendo che per la svalutazione della valuta russa, ossia il rublo.

L’agroalimentare italiano è molto competitivo

Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) ha pubblicato il “Rapporto sulla competitività dell’agroalimentare italiano“, il quale presenta conferme e sorprese. La conferma è che il settore agroalimentare continua ad essere trainante rispetto all’economia nazionale; la sorpresa è che ci riesca nonostante le moltissime difficoltà che si incontrano nel lavoro quotidiano.

L’attività di chi opera nell’agroalimentare si deve confrontare con una burocrazia elefantiaca, con un sistema produttivo spesso incapace di fare fronte alla domanda e di utilizzare in modo adeguato i finanziamenti europei. Nonostante tutto questo i numeri parlano chiaro: l’Italia da sola detiene l’8% delle quote sulle esportazioni all’interno dell’Unione Europea, con un valore calcolato a dicembre 2017 di 41 miliardi di euro. Quindi è l’export che fa la parte del leone, per quanto anche il mercato interno lanci molti segnali positivi.

I prodotti che vengono maggiormente venduti all’estero sono mele, uva, kiwi e nocciole per quanto riguarda i prodotti primari; pasta, passata di pomodoro, olio e vino per quanto riguarda i prodotti lavorati. Ma, come dicevamo, non è solo l’export il fiore all’occhiello, perché se i prodotti agroalimentari sono amati all’estero, non di meno sono molto richiesti sul mercato interno.

Se il valore complessivo della produzione è di 60,4 miliardi di euro, in realtà l’effettivo volume di affari che gira intorno al comparto è di ben 214 miliardi di euro. Questa cifra si raggiunge se si considera anche il settore della ristorazione. Il consumo interno in Italia è notevolmente cresciuto nel 2017: sono stati spesi ben 160 miliardi di euro in prodotti alimentari, a testimonianza che l’attenzione posta alla buona cucina non è affatto scemata con il tempo. La crescita rispetto al 2016 è stata di oltre tre punti percentuali, e i primi dati raccolti per il 2018 testimoniano come il trend positivo stia continuando.

L’ortofrutta è in cima alle classifiche di spesa, seguita da carne e formaggio e solo in ultima istanza dalla pasta (singolarmente). Tutto rose e fiori, dunque? Purtroppo no, perché il report Ismea porta alla luce anche l’altro lato della medaglia: di tutto questo benessere purtroppo i produttori primari non beneficiano che in minima parte.

Il documento infatti dice che, su 100 euro di spesa del consumatore finale, al produttore non fanno che 6 euro, quindi una parte davvero infinitesimale per chi, di fatto, svolge il lavoro maggiore. Questo se si parla dei prodotti primari: per quelli trasformati all’agricoltore non restano che 2 euro su 100. A prendere la fetta maggiore dei guadagni sono la distribuzione e la logistica.

Questo è un aspetto da prendere in seria considerazione: se infatti non si cambierà la politica del settore si potrebbe finire per danneggiare un comparto che i dati confermano essere tra i più floridi per il nostro Paese. Lo è anche dal punto di vista occupazionale: oltre un milione di persone ha lavorato nell’ambito agroalimentare nel 2017. Ciò non toglie che vi sia comunque un calo nel numero degli occupati del settore, ma meno sensibile di quanto non sia accaduto in altri Paesi europei. Questo perché la vocazione italiana alla produzione agroalimentare è molto forte, ed è per questo di fondamentale importanza che essa sia resa sostenibile per tutti i soggetti della filiera anche attraverso il varo di norme che aiutino l’agricoltura, abbattendo i costi e aumentando i guadagni.

Il cibo italiano è da difendere

Il 2018 è l’anno internazionale del cibo italiano, da sempre fiore all’occhiello del nostro Paese. Un’occasione per generare conoscenza del buon cibo tricolore e per rendere i turisti stranieri “ambasciatori del cibo italiano nel mondo”, per usare le parole del presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo. Nel Belpaese, l’intero sistema agroalimentare genera più di 274 miliardi di euro all’anno, con un peso del 17% sul PIL.
Cibo, ambiente e cultura sono le maggiori leve di attrazione turistica per il 54% degli italiani, mentre per due stranieri su tre la buona tavola costituisce la principale motivazione del viaggio.
Un’alleanza, quella tra turismo e alimentazione, che quest’anno ha la possibilità di essere ulteriormente valorizzata grazie ai Mercati di Campagna Amica, un progetto volto a creare una rete agroalimentare dove si ha la garanzia che i prodotti ortofrutticoli venduti sono italiani e rigorosamente a km zero.

La rete nazionale di aziende agricole e agrituristiche si pone anche l’obiettivo di difendere il nostro patrimonio agroalimentare dalla piaga della contraffazione. Il finto made in Italy, cioè i cibi che compriamo pensando che provengano dalla nostra terra e che arrivano invece da altri Paesi, sottrae 60 miliardi di euro all’economia nostrana, a fronte di un export alimentare italiano di 40 miliardi. Ogni giorno rischiano di finire nel nostro piatto importazioni di bassa qualità, che spesso risultano piene di diossine e sostanze tossiche. La richiesta di Coldiretti è quella di lanciare sportelli anticontraffazione nelle ambasciate dei singoli Paesi e soprattutto di estendere l’obbligo di indicare l’origine in etichetta a tutti gli alimenti. Un’etichetta trasparente che contenga non solo il luogo di confezionamento, ma anche l’origine delle materie prime, potrebbe davvero bloccare le imitazioni e le falsificazioni che danneggiano la nostra economia, oltre a tutelare la salute dei consumatori.

La cucina italiana è convivialità, piacere di preparare insieme un pasto e di condividerlo stando allo stesso tavolo, come sottolinea l’antropologo napoletano Marino Niola. È importante difendere queste tradizioni e impedire che vengano soppiantate da nuovi trend, come quello del pranzo in solitaria, tanto diffuso all’estero. Il “mangiare insieme” è un modus vivendi capace di promuovere l’interazione sociale e di tramandare l’identità della comunità, come sottolineato dal Comitato dell’Unesco in sede di proclamazione delle pratiche alimentari, sociali e culturali della dieta mediterranea come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.f

Secondo la Fao, la cucina italiana è il cibo del futuro. Il nostro stile alimentare è salubre e alla portata di tutti, in una parola “democratico”. I suoi ingredienti cardine sono i prodotti dell’orto, i cereali, il pesce, l’olio d’oliva, i legumi, i latticini, piccole quantità di carne e un moderato consumo di vino, tutti cibi generalmente poco costosi e che hanno un basso impatto sul territorio. Ecco perché la cucina italiana è oggi assurta a simbolo di alimentazione sostenibile e strumento per la tutela della biodiversità.

Nell’anno che celebra il cibo italiano nel mondo, i numeri del settore agroalimentare sono in linea con l’importante investitura. Il settore ha dimostrato negli ultimi anni grande vitalità e il trend positivo è continuato anche nei primi mesi del 2018. Il 2017 ha segnato la ripresa del comparto, che ha registrato un fatturato di 137 miliardi di euro, mostrando una crescita del 3,8%. A giocare un ruolo da protagonista sono state soprattutto le esportazioni, il cui valore si è attestato intorno ai 32,1 miliardi di euro, il 7% in più rispetto all’anno precedente. I 2/3 dei prodotti sono destinati al mercato europeo, ma rimane sostenuta anche la crescita in Nord America e in Asia. L’export è quindi sempre più strategico, con formaggi, salumi, dolciario e spumanti tra i prodotti più performanti.

L’anno internazionale del cibo italiano, nato da una collaborazione dei Ministeri delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e dei Beni Culturali e del Turismo, è un’occasione per difendere e rendere giustizia all’immenso patrimonio enogastronomico tricolore attraverso eventi dedicati alla celebrazione dei piatti tipici delle varie zone d’Italia e l’implementazione di itinerari di offerta turistica legati alla cucina italiana.
Dedicare il 2018 al cibo italiano significa quindi promuovere gli aspetti culturali e naturali del territorio, valorizzando il lavoro di agricoltori, allevatori, pescatori e produttori alimentari e, infine, facendo conoscere ai turisti italiani e stranieri i luoghi legati alla produzione agroalimentare del Belpaese.

La cucina italiana conquista il sud est asiatico

Che la cucina italiana sia rinomata in tutto il mondo e i suoi prodotti vengano esportati in qualunque parte del globo non è una novità, eppure nessuno si sarebbe aspettato che fossero in grado di riscuotere così tanto successo anche in Paesi con culture e tradizioni alimentari totalmente diverse dalla nostra. Da qualche anno a questa parte infatti, tra i nuovi mercati esteri che si sono aperti all’importazione di prodotti italiani ci sono anche quelli del sud-est asiatico, area non estranea ai tanti ristoratori internazionali che già da tempo avevano deciso di investire nel mercato asiatico riconoscendone pregi e potenzialità.

Quando si parla di cucina italiana all’estero molti ristoratori del Bel Paese hanno la presunzione di pensare che se un loro collega ha deciso di investire soldi e competenza al di fuori del territorio nazionale è solo perché in Italia la sua cucina non sarebbe stata in grado di competere con quella degli altri, e così l’estero viene visto come una sorta di contenitore in grado di accogliere tutti quei ristoratori che non ce l’avrebbero fatta in patria. Nulla di più sbagliato! Oggi non è più possibile “infinocchiare” gli stranieri presentando qualche piatto tipico italiano cucinato in maniera mediocre. Quando si parla di alta cucina italiana questa è facilmente riconoscibile sia dentro che fuori i confini nazionali, dove i palati sono diventati sempre più esigenti e oramai decidere di aprire un ristorante all’estero vuol dire accettare la sfida di una competizione agguerrita, proprio come accade nel sud-est asiatico, centro nevralgico dell’alta cucina internazionale.

In Asia la clientela è colta, curiosa, aperta a nuove esperienze gastronomiche e spietata nei giudizi quando è il caso, qui più che in altri posti il successo di un ristorante va di pari passo con il concetto di meritocrazia. Seppure l’esordio, più di trenta anni fa, della cucina tricolore nel sud-est asiatico non sia stato semplice, oggi la cucina italiana sembra aver conquistato completamente il pubblico asiatico, grazie a ristoranti di altissima qualità. Nonostante le differenti culture e tradizioni, anche in ambito culinario, c’è qualcosa che accomuna gli asiatici agli italiani, considerare il cibo una religione e il pranzo o la cena un vero e proprio momento di culto della buona cucina, forse anche per questo gli asiatici sono famosi per essere tra gli intenditori più intransigenti al mondo.

Insomma, oggi aprire un ristorante italiano nel sud est-asiatico sembra essere diventato uno dei principali hobby, dai piccoli bistrot a locali estremamente moderni in cui la cucina tipica italiana si mescola a quella locale esaltandone i prodotti. Tra i ristoranti più famosi a Singapore che tengono alta la bandiera del made in Italy, troviamo:
il Garibaldi, ristorante italiano di Roberto Galletti che offre una cucina tipicamente tradizionale accompagnata da una collezione di vini di tutto rispetto, una vera e propria punta di diamante dell’enogastronomia italiana nel mondo;
Buona Terra, aperto solo 6 anni fa, ma in pochissimo tempo è riuscito ad equilibrare perfettamente i tre ingredienti fondamentali per un ristorante di successo: estrema attenzione nella ricerca delle materie prime, cura certosina nella preparazione dei piatti e degli abbinamenti, una lista di vini italiani di ottima qualità e difficilmente trovabili nell’isola asiatica sud-orientale.
Se da Singapore ci si sposta a Bangkok tra i migliori ristoranti italiani troviamo:
Da Gianni, divenuto ormai un’istituzione e che da oltre vent’anni propone una cucina tipicamente italiana utilizzando esclusivamente prodotti e vini provenienti dal Bel Paese;
la Bottega di Luca, un tipico ristorante tricolore che si distingue per un’atmosfera familiare nella quale poter degustare piatti della tradizione culinaria italiana ma completamente rivisitati per una cucina innovativa e dai sapori rustici e genuini.
Le prossime aperture? Sicuramente seguiranno l’andamento generale: scelta di vini italiani artigianali e di alta qualità, selezione delle migliori materie prime autoctone italiane ed estremo interesse verso prodotti naturali e biologici.

Gli italiani scelgono il km0 e biologico ma poi mangiano altro

Nella terza edizione dell’Osservatorio Nazionale sullo stile di vita realizzato da Lifegate è emerso che gli italiani sono molto sensibili al tema dell’alimentazione sostenibile. Si intende per alimentazione sostenibile un tipo di alimentazione che si basa su cibi sani ottenuti con un basso sfruttamento di risorse idriche e un basso impatto sul territorio, rispettando gli ecosistemi circostanti, cercando di ridurre al minimo le emissioni di carbonio e azoto, e accessibile a tutti anche economicamente. Questa tematica sembra essere nota al 36% della popolazione italiana, soprattutto tra i giovani dai 18 ai 24 anni. E’ risultato argomento noto soprattutto tra i laureati e i liberi professionisti. Sono risultati quindi per la maggior parte i giovani quelli più sensibili a queste problematiche e che nella pratica sostengono l’alimentazione biologica cioè quell’agricoltura che sfrutta la naturale fertilità del suolo intervenendo in maniera limitata e non invasiva e che esclude l’utilizzo di materiali e concimi sintetici e l’utilizzo di specie OMG (organismi geneticamente modificati).

Una curiosità che emerge dal suddetto studio è che il concetto di sostenibilità per il 47% degli italiani è un valore sentito profondamente da una parte, dall’altro lato c’è un’identica percentuale di persone (47%) che ritiene che seguire questo tipo di alimentazione e di stile di vita sia solo una moda.

Inoltre, il 57% si dichiara favorevole a pagare i prodotti di più purché provengano da filiera corta: la filiera corta è quell’iter per cui gli alimenti dalla produzione alla consumazione facciano i minori passaggi possibili, meglio ancora se il passaggio avviene direttamente tra produttore e consumatore ( il famoso km zero); il tutto per evitare in primis l’uso di carburante per trasportare le merci e in secondo luogo perché ci possa essere maggiore controllo e conoscenza dell’azienda stessa da parte del consumatore.
A favore dei Km zero, che però è sicuramente un sistema più caro, si sono dichiarati gli universitari e i liberi professionisti dell’Italia del Nord Est. I prodotti che si possono acquistare a km zero sono essenzialmente verdura, frutta, latte, legumi e cereali. Comprando questi prodotti sicuramente viene rispettata la stagionalità degli stessi e quindi è garantita una maggior attenzione alla qualità dal momento che un prodotto possiede il sapore più genuino nella sua propria stagione e non consumandolo come prodotto di serra. Inoltre acquistando prodotti ortofrutticoli a Km 0 si sostengono i produttori agroalimentari locali e si spingono i consumatori ad essere più attenti e più consapevoli nei propri acquisti. Questo sistema ha cominciato a prendere piede in Italia tra i giovani grazie alla nascita dei GAS (Gruppi di Acquisto Solidali) che permettono di risparmiare il viaggio per recarsi all’azienda locale e che facilita l’acquisto dei prodotti locali grazie a una rete di consumatori che collabora per il trasporto dei prodotti in genere una volta a settimana creando punti di incontro ove andare a ritirare i propri alimenti.

Purtroppo “Verba volant” e infatti se otto italiani su dieci si dichiarano sensibili a questi temi, nella pratica poi sono solo due su dieci che consumano prodotti biologici.

Gli italiani in alta percentuale hanno dichiarato di essere favorevoli all’agricoltura biologica alla filiera corta e ai km zero però poi a tavola si comportano differentemente e per pigrizia, per mancanza di tempo o di soldi rinunciano ai loro buoni propositi: solo il 27% delle persone intervistate ha ammesso di consumare a km zero e il 20% di comprare esclusivamente prodotti biologici. I vegetariani sono i più coerenti con le loro scelte e il 46% tra i vegetariani consuma solo a km zero.

Prodotti simbolo made in Italy anche a Taiwan

Che i prodotti italiani siano una vera e propria icona per quanto concerne il mondo dell’alimentazione in ogni parte del mondo non è certo una novità: ottime sono le notizie per quanto riguarda il consumo di cotechini, zampone e molto altro ancora. Ecco tutto quello che serve sapere sul successo del Made in Italy in cucina.

Cotechino e zampone rientrano sicuramente tra gli alimenti ideali quando si parla di alimentazione italiana. E a certificare questo aspetto rilevante ci hanno pensato i dati del Consorzio dello Zampone e del Cotechino di Modena IGP. Fino a qualche tempo fa il consumo di questi due prodotti era legato esclusivamente al periodo natalizio. Eppure dai dati che riguardano l’anno 2017 sembra proprio che le cose siano cambiate: infatti durante quest’anno il cotechino e lo zampone sono finiti molto frequentemente sulle tavole degli italiani. Rispetto al 2016 l’aumento è stato addirittura del 9%, un numero di certo consistente e che permette di annoverare questi due alimenti come must del Made in Italy. Le statistiche parlano di 2,2 milioni chili di cotechino che sono stati consumati in Italia. Invece lo zampone di Modena IGP è stato consumato per una quantità pari a 1,2 milioni, sempre riferendosi ai chilogrammi.

Un incremento di grande importanza, soprattutto se si guarda al lato economico di tali numeri. Il movimento di denaro è molto consistente: il giro d’affari arriva anche oltre i 28 milioni di euro, per cui si tratta di somme di una concreta rilevanza. Il Consorzio stesso ha voluto guardare alle esigenze dei consumatori in maniera molto attenta. Rispetto alle varianti tradizionali, molti sono coloro che prediligono prodotti alimentari che guardino alla salute: dunque senza glutammato e comunque con aromi per lo più naturali. Anche per questo motivo l’incremento è stato importante e ha permesso di guardare al futuro con ottimismo per quel che riguarda la crescita della commercializzazione dello zampone di Modena IGP e del Cotechino di Modena IGP.

Interessanti le stime che giungono direttamente dal Consorzio Mortadella Bologna IGP che hanno testimoniato un successo sempre più rilevante. Infatti la mortadella sta letteralmente spopolando: vanno a ruba le confezioni in vaschette comode, ideali per creare un semplice e delizioso aperitivo. Tutto ciò viene pienamente confermato nel momento in cui si pensa alle statistiche complessive dell’anno, periodo in cui è stato registrato un aumento del 10% in più rispetto all’anno precedente. Occorre sottolineare che questi numeri da capogiro fanno capire quanto la mortadella sia un prodotto adattabile a molte esigenze mantenendo comunque la sua caratteristica di alimento ideale per la convivialità. Traguardo importante per la mortadella di Bologna IGP anche all’estero dove i numeri sono consistenti: Spagna, Francia e Germania sono i paesi dove ha maggior successo questo prodotto alimentare che viene visto come un’icona dell’alimentazione italiana. Per capire quanto la mortadella stia diventando un insaccato scelto da tantissime persone nel mondo basti pensare che in Germania è in corso un tour promozionale sulla mortadella che arriverà fino al 2020. E senza dimenticare che anche il Giappone ha iniziato ad incrementare il consumo di questo prodotto.

E in ambito di insaccati italiani che sono richiesti in ogni parte del mondo, non si può non citare l’ormai celeberrimo prosciutto di Parma. Questo potrà essere commercializzato finalmente anche a Taiwan: il governo locale ha deciso di aprirsi al commercio di prodotti a base di carni provenienti dall’Italia. La notizia è molto interessante visto che Taiwan sembrava essere una frontiera ormai chiusa in tal senso e che invece è stata aperta quasi all’improvviso. Perció questo paese si va ad aggiungere agli oltre 90 che hanno creato una fitta rete commerciale per quanto concerne il prosciutto di Parma. Il mercato di Taiwan ha una funzione fondamentale per tutta l’area asiatica, essendo quello che assorbe mediamente 150.000 prosciutti all’anno. Dunque garantisce rifornimenti a paesi come Cina, Singapore e anche Hong Kong. Una scelta, quella di Taiwan, attentamente ponderata visto che esponenti delle autorità del paese hanno visitato i centri di produzione presenti in Italia così da toccare con mano la qualità dei prodotti.

Record esportazioni italiane nel mondo

 Le notizie che arrivano dalla Coldiretti fanno intravedere un panorama davvero incoraggiante per tutto ciò che riguarda il Made in Italy nel campo alimentare, tanto da parlare di vero e proprio record. Davvero roseo il quadro che emerge dalla lettura e dall’analisi dei dati relativi alle esportazioni dei primi mesi del 2018. Le quote delle esportazioni infatti non lasciano spazio alle interpretazioni, giustificando chi grida al record storico per i prodotti alfieri del Made in Italy nel settore agroalimentare.

A gennaio 2018, per la prima volta nella storia si sono superati i due miliardi e mezzo di euro. La cifra da sola forse potrebbe non essere esplicativa, ma basta metterla a confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente per capire qual è il reale impatto sull’economia nazionale: si è assistito a un incremento pari al 12,8 in punti percentuali sulle esportazioni.
I dati provengono da un’indagine a cura della Coldiretti, basata sull’analisi dei dati Istat che prendono in esame i numeri sul commercio estero nell’anno corrente. Un risultato che porta nuovo ossigeno in un momento in cui il cibo italiano ne aveva particolare bisogno. Il dato arriva a conferma di una potenziale ripresa del Made in Italy, che sembra così nuovamente in grado di contrastare le azioni provenienti dai responsabili delle frodi alimentari. Se si analizza il dato su un livello più generale, è possibile vedere come questo possa giocare un ruolo davvero importante per la ripresa economica dell’Italia, anche in termini occupazionali.

Se si prendono in esame le esportazioni nei confronti dei singoli Paesi è possibile vedere come l’Unione Europea sia in questo momento uno dei mercati di destinazione ideali per il cibo italiano. Il tricolore sulla tavola dei cugini dei paesi europei è stato particolarmente apprezzato nei primi giorni del 2018, tanto che la quota delle esportazioni dell’agroalimentare verso questo mercato occupa quasi i due terzi del totale.
Per quanto riguarda invece il mercato americano, che è da sempre uno dei principali estimatori dei prodotti del made in Italy agroalimentare, si registra un deciso calo. Questa flessione non interessa solo l’Italia e si deve in primo luogo alla politica estremamente protezionistica messa in piedi da Trump a partire da quando è salito al potere. I forti dazi imposti sull’agroalimentare preoccupano moltissimo agenti come la Coldiretti, perché gli Stati Uniti rappresentano ormai da anni il terzo mercato di riferimento per il cibo tricolore, preceduto solo da quelli di Francia e Germania.

È proprio quest’ultima a trainare in maniera netta le esportazioni italiane. Rispetto al gennaio 2017, quest’anno si è registrato un incremento di oltre dieci punti percentuali, con una quota che è arrivata a toccare quasi i quattrocento milioni di euro. Eppure non sono questi i dati più confortanti. In Francia, infatti, è dove si è assistito a un vero e proprio miracolo, con la quota delle esportazioni che è salita di quasi venti punti percentuali. 18,4% è infatti l’incremento, rispetto al gennaio 2017, delle esportazioni di prodotti agroalimentari italiani che hanno valicato le Alpi.

Lo scenario politico non influenza solo gli Stati Uniti: nel vecchio continente, infatti, a risentire principalmente nel mercato delle esportazioni è la Gran Bretagna, dove le paure e il futuro incerto legato alla Brexit hanno fatto sì che l’aumento rispetto all’anno precedente abbia registrato un misero 4,1%.

Secondo quanto affermato dal presidente nazionale della Coldiretti Moncalvo si prevede che la traiettoria dell’andamento dei mercati nazionali possa persino migliorare se si metterà in atto una politica volta a tutelare efficacemente dalle frodi derivanti dalla cosiddetta agropirateria. Questa vera e propria forza ha un fatturato stimato di oltre sessanta miliardi di euro l’anno, approfittandosi di tutto ciò che contraddistingue da sempre il made in Italy. Dalle immagini tipiche alle espressioni proprie, dalle ricette alle denominazioni: tutto quel che richiama anche solo alla lontana il Bel Paese viene associato a prodotti di fattura scadente e da considerarsi a tutti gli effetti taroccati. Essi non hanno nulla da spartire con le reali espressioni del Made in Italy e – sempre secondo Roberto Moncalvo – rappresentano il vero pericolo, l’unico davvero in grado di minare l’autorevolezza dei prodotti italiani all’estero.

I cibi primaverili più salutari

Anche se con qualche capriccio iniziale, la primavera è finalmente giunta con tutte le sue caratteristiche peculiari, per le quali tanto la amiamo. Sono tornate le giornate più lunghe e luminose, l’aria fresca e profumata dagli alberi in fiore e anche le nostre tavole si arricchiscono di sapori e colori che risvegliano in noi un’energia nuova.

Nonostante le moderne tecniche di coltivazione permettano di avere qualsiasi prodotto della terra in ogni periodo dell’anno, siamo fermamente convinti che la frutta e la verdura di stagione abbiano dei vantaggi indiscutibili. Consumare ortaggi di stagione permette innanzi tutto di rispettare l’ambiente e di risparmiare, poiché la loro coltivazione non ha bisogno di serre e tanti trattamenti chimici. Inoltre abbiamo la garanzia di avere un prodotto più sano, ancor più se esso è bio, e sicuramente più gustoso e completo di tutte le proprietà nutrizionali, che potrebbero essere falsate quando la pianta non segue il suo normale ciclo di vita.

Vediamo allora quali sono i principali prodotti che questa stagione ci offre, dagli ortaggi alla frutta.
Tornano ad accompagnare i nostri piatti delle belle insalate fresche, composte da foglie di lattuga oppure di indivia. Quest’ultima può essere consumata anche cotta, come gli amanti della pizza di scarole napoletana ben sanno, ma è bene ricordare che parte delle proprietà organolettiche di un ortaggio si perdono con la cottura. Sia la lattuga che l’indivia contengono betacarotene, precursore della vitamina A importante per il meccanismo della visione, specialmente notturna, e per la protezione della pelle dai raggi UV, e di vitamina C, che attiva l’acido folico, la vitamina E per la formazione del collagene e facilita l’assorbimento del ferro. Ottimi alleati delle insalate sono i ravanelli, ricchi di zinco, necessario per la formazione di ossa e muscoli, e vitamina C.

Grandi protagonisti, tipici del periodo pasquale, sono poi gli asparagi e le fave fresche. I primi donano il nome all’aminoacido di cui sono maggiormente composti, l’asparagina appunto, che migliora le funzioni energetiche cellulari e quelle epatiche. Gli asparagi favoriscono inoltre la diuresi e l’espulsione del sodio in eccesso. Le fave contengono un altro importante aminoacido, L-dopa, precursore del neurotrasmettitore dopamina, quindi fondamentale per la trasmissione nervosa. Sono inoltre un’importante fonte di ferro, così come i fiori di zucca, le cipolle novelle e le patate novelle. Le cipolle contengono anche flavonoidi e zolfo, il quale fa parte della cheratina, proteina strutturale di cute, unghie e capelli, mentre le patate sono una fonte rilevante di niacina, conosciuta anche come vitamina PP, implicata nella produzione di energia cellulare.

Infine tra i legumi che maggiormente ci ricordano che è primavera citiamo i piselli freschi, ricchissimi di micronutrienti importanti per svariate funzioni fisiologiche, quali calcio, fosforo, magnesio, rame, potassio, iodio, ma anche di una buona quantità di fibre, che favoriscono il transito intestinale.
Passando invece alla frutta, non c’è nulla che faccia più primavera dei nostri amati frutti rossi, in primis le fragole, che verso marzo ci annunciano l’inizio della nuova stagione, e poi le ciliegie, che ci accompagnano invece fino ai primi caldi di giugno. Le fragole, oltre a contenere calcio, potassio e vitamina C, contengono acido salicilico, che è un potente antinfiammatorio. Le ciliegie invece contengono antocianine e polifenoli, entrambi formidabili nella prevenzione dell’ossidazione cellulare, dal momento che ci proteggono dall’azione dei radicali liberi.

Dulcis in fundo, la banana. Siamo abituati ormai a vederla sul mercato tutto l’anno, ma forse non tutti sanno che è proprio questo il periodo per iniziare a trovare le più saporite. A volte vengono demonizzate perché tra i frutti a maggior apporto calorico, ma, a parte il fatto che si parla di 89 calorie per 100 grammi, comunque inferiori a qualsiasi spuntino “light” di pari peso, non si considerano le proprietà nutritive più che vantaggiose che le caratterizzano. Come è ben noto, sono tra gli alimenti a maggior contenuto di potassio, che è essenziale per la contrazione muscolare e per la neurotrasmissione e inoltre per il mantenimento del bilancio idrico e della pressione arteriosa. Inoltre le banane contengono pectina, una fibra solubile che aiuta ad abbassare le LDL, responsabili del cosiddetto colesterolo cattivo.

Piatti tipici Pasqua napoletana

CDA Market è il centro di distribuzione alimentare attivo nella provincia di Varese e che tiene alta la qualità dei suoi prodotti. Del resto, l’arte culinaria e il rispetto della tradizione a tavola contraddistinguono tutto il territorio italiano. Oggi vi vogliamo parlare della cucina partenopea, dove i napoletani cucinano quotidianamente e realizzano pietanze per giorni speciali, come in occasione della Pasqua.

Infatti, esistono diversi piatti tipici che caratterizzano la Pasqua partenopea. Insomma, a Napoli la Pasqua non è solo uova di cioccolata e colombe. Nelle cucine napoletane, anche nei giorni che precedono la festa, vengono preparati diversi piatti. Oltre all’agnello, simbolo del sacrificio, non mancano specialità che simboleggiano l’unione e la fratellanza.

In particolare, in occasione del pranzo del sabato, le tavole vengono arricchite con la fellata. Il termine ‘fella’ significa fetta e la fellata non è altro che un tagliere ricco di salumi vari, accuratamente affettati e distribuiti solitamente su un grande piatto da portata. La fellata include salami napoletani che rappresentano la ricchezza contadina e anche formaggi tagliati a spicchi. Una fellatta che si rispetti deve contenere anche le uova sode e la ricotta salata. Le prime rappresentano la rinascita e la risurrezione, mentre la seconda è il simbolo culinario della comunione religiosa e dei fedeli che condividono la stessa tavola.

Il giovedì santo è il giorno riservato alla pepata di cozze. Il piatto viene preparato in casa, sebbene molti napoletani usano consumarlo presso molti ristoranti tipici. Spesso la zuppa di cozze napoletana ricomprende anche polpo verace, fasolari, marruzzielli o lumache di mare. Talvolta sono presenti anche gli scampi. Il tutto viene accompagnato da freselle, aglio, prezzemolo e da olio piccante, altrimenti chiamato ‘o russ’.

 

Piatto principe della tradizione napoletana pasquale è anche la minestra maritata. Diversamente da quello che il nome minestra lascerebbe intendere, quella maritata è molto gustosa e saporita. Si tratta di un piatto antico, a base di carne e verdure, che richiede molta dedizione e una lunga preparazione. La minestra maritata è una pietanza che viene proposta alla domenica di Pasqua e prevede un mix di salsicce piccanti, cane di manzo, gallina, ma anche cicoria, scarola, broccoletti e verza. Questo piatto viene anche insaporito con cipolla, parmigiano e sedano. Viene servito con brodo fumante.

 

La vera Pasqua napoletana prevede anche altri piatti irrinunciabili. Uno di questi è il casatiello. Trattasi di una torta rustica, con uova intere, sporgenti e ben visibili. La tradizione vuole che venga preparata il venerdì sera e che lieviti una notte intera, per poi essere infornata il mattino seguente. L’impasto è a base di farina, acqua e lievito. Inoltre, ricomprende strutto, salame, provolone e pecorino. Una volta sfornato il casatiello può essere servito caldo oppure freddo.

Il tripudio dei sapori napoletani raggiunge il suo culmine nel dolce: la pastiera. Questo dolce non può proprio mancare in occasione della domenica di Pasqua e richiede una lievitazione lenta, per questo viene preparato il giorno precedente. Ogni famiglia napoletana aggiunge alcuni accorgimenti, ma la ricetta originale prevede un impasto a base di pasta frolla, strutto, ricotta, zucchero e cannella. Una pastiera preparata a regola d’arte presenta un caratteristico color caramello e un profumo intenso. Inoltre, la pasta frolla deve avere la giusta consistenza: rimanere morbida, ma senza rompersi durante la cottura. Come direbbero i napoletani: la pastiera deve far chiudere gli occhi sin dal primo morso.

 

Per realizzare i piatti descritti e molti altri ancora CDA Market rimane il punto di riferimento per trovare ingredienti di prima scelta, oltre che bevande e tutto ciò che serve per rendere memorabile il piacere di stare a tavola.

Record di esportazione per i formaggi italiani

È una delle ragioni dell’intramontabile disputa tra Francia e Italia. No, non su chi si aggiuca il primato in ambito calcistico. L’annosa questione ha sempre riguardato la supremazia in ambito alimentare, con aree di amichevole contenzioso concentrate principalmente su due eccellenze dell’enogastronomia: formaggio e vino.

Eppure, stando a una delle recenti notizie che provengono dai dati della Coldiretti, questa disputa pare aver trovato una risoluzione e proprio i cugini d’oltralpe si sono resi autori di alcune manifestazioni di stima e rispetto per i formaggi italiani.
Come segnala la più recente analisi effettuata dalla Coldiretti, che prende in esame i dati Istat registrati nel primo semestre del 2017, saranno oltre 400 i milioni di chili di prodotti caseari italiani che vengono consumati all’estero. E la Francia? I dati sono sbalorditivi: le esportazioni oltralpe sono quasi raddoppiate e se si volge lo sguardo agli ultimi dieci anni, le nostre esportazioni verso la Francia sono cresciute del 94%. I francesi hanno cominciato a conoscere e apprezzare i nostri prodotti, che fanno sempre più spesso capolino sulle loro tavole assieme a monumenti gastronomici come Brie e Camembert. Se si confronta il dato rovesciando i due Paesi, si può notare come le nostre importazioni di prodotti francesi siano sostanzialmente rimaste invariate negli anni. Di fatto, quindi, la Francia ha finalmente riconosciuto ciò che noi sappiamo da molto.
Guardando al complesso dei dati della Coldiretti, la situazione sembra davvero molto incoraggiante. Infatti ci troviamo di fronte a un momento storico, in cui i nostri formaggi registrano il record degli export con un 7% in più rispetto all’anno precedente.
Quali sono gli altri Paesi che hanno seguito l’esempio della Francia? Una menzione d’onore merita certamente l’Olanda che sta conoscendo una vera e propria adorazione per il Pecorino. Il formaggio stagionato per eccellenza ha registrato nei Paesi Bassi un + 77% se si confrontano i dati con quelli del 2016.
Altri Paesi con forti tradizioni casearie nazionali, come la nazione elvetica, hanno recentemente mostrato un crescente apprezzamento per i prodotti italiani. In Svizzera infatti, il consumo di formaggi nostrani è aumentato di otto punti percentuali nell’ultimo anno, dato ancor più importante se si pensa alla crescita di tutto il decennio (+22%).
Lo stesso discorso vale per la Grecia, patria del buonissimo formaggio feta, dove il consumo di mozzarella ha superato i 40 punti percentuali in più nel 2017 rispetto all’anno precedente.
Altri estimatori dei nostri formaggi da record includono la sempre fedele Germania, che occupa il secondo posto tra i maggiori Paesi importatori del nostro prodotto caseario, seguita a ruota dalla Gran Bretagna.

Quali sono in assoluto le specialità made in Italy a cui non si può proprio rinunciare all’estero? Come è facile immaginare sono proprio loro, il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano, forse tra i simboli in assoluto più riconoscibili del Bel Paese. Essi ammontano, se presi in esame congiunti, al 21% del totale delle esportazioni e sono alla testa della classifica di tutti i prodotti caseari ad avere ottenuto il riconoscimento europeo della propria denominazione d’origine.
Tra i primi posti nella classifica delle esportazioni del made in Italy troviamo anche il Gorgonzola, molto apprezzato negli altri Paesi che sono familiari con i propri erborinati, il Pecorino Romano, apprezzato soprattuto nei Paesi di lingua germanica e anglosassone e – ovviamente – la mozzarella di Bufala campana.
Come accade con qualsiasi cosa diventi popolare, anche in altri settori, la fama e l’apprezzamento portano un lato della medaglia ben poco piacevole: il fiorire di imitazioni. Secondo la Coldiretti sono proprio i nostri formaggi al top della classifica delle esportazioni ad essere quelli preferiti in ambito di truffa alimentare.
Basti pensare ad esempio al parmesao brasiliano o al parmesan, diffuso negli Stati Uniti e in Canada: in tutti questi Paesi l’imitazione con il nome leggermente storpiato ha largamente superato il volume di acquisto del suo corrispettivo originale e tricolore.
Eppure, è la stessa Coldiretti a vedere un segnale particolarmente incoraggiante in questo segnale forte di ripresa che ha interessato il settore caseario, grazie anche all’obbligo – reso fattivo nell’aprile dello scorso anno – di apporre in etichetta la provenienza della materia prima, ossia del latte.