L’agroalimentare italiano è molto competitivo

Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) ha pubblicato il “Rapporto sulla competitività dell’agroalimentare italiano“, il quale presenta conferme e sorprese. La conferma è che il settore agroalimentare continua ad essere trainante rispetto all’economia nazionale; la sorpresa è che ci riesca nonostante le moltissime difficoltà che si incontrano nel lavoro quotidiano.

L’attività di chi opera nell’agroalimentare si deve confrontare con una burocrazia elefantiaca, con un sistema produttivo spesso incapace di fare fronte alla domanda e di utilizzare in modo adeguato i finanziamenti europei. Nonostante tutto questo i numeri parlano chiaro: l’Italia da sola detiene l’8% delle quote sulle esportazioni all’interno dell’Unione Europea, con un valore calcolato a dicembre 2017 di 41 miliardi di euro. Quindi è l’export che fa la parte del leone, per quanto anche il mercato interno lanci molti segnali positivi.

I prodotti che vengono maggiormente venduti all’estero sono mele, uva, kiwi e nocciole per quanto riguarda i prodotti primari; pasta, passata di pomodoro, olio e vino per quanto riguarda i prodotti lavorati. Ma, come dicevamo, non è solo l’export il fiore all’occhiello, perché se i prodotti agroalimentari sono amati all’estero, non di meno sono molto richiesti sul mercato interno.

Se il valore complessivo della produzione è di 60,4 miliardi di euro, in realtà l’effettivo volume di affari che gira intorno al comparto è di ben 214 miliardi di euro. Questa cifra si raggiunge se si considera anche il settore della ristorazione. Il consumo interno in Italia è notevolmente cresciuto nel 2017: sono stati spesi ben 160 miliardi di euro in prodotti alimentari, a testimonianza che l’attenzione posta alla buona cucina non è affatto scemata con il tempo. La crescita rispetto al 2016 è stata di oltre tre punti percentuali, e i primi dati raccolti per il 2018 testimoniano come il trend positivo stia continuando.

L’ortofrutta è in cima alle classifiche di spesa, seguita da carne e formaggio e solo in ultima istanza dalla pasta (singolarmente). Tutto rose e fiori, dunque? Purtroppo no, perché il report Ismea porta alla luce anche l’altro lato della medaglia: di tutto questo benessere purtroppo i produttori primari non beneficiano che in minima parte.

Il documento infatti dice che, su 100 euro di spesa del consumatore finale, al produttore non fanno che 6 euro, quindi una parte davvero infinitesimale per chi, di fatto, svolge il lavoro maggiore. Questo se si parla dei prodotti primari: per quelli trasformati all’agricoltore non restano che 2 euro su 100. A prendere la fetta maggiore dei guadagni sono la distribuzione e la logistica.

Questo è un aspetto da prendere in seria considerazione: se infatti non si cambierà la politica del settore si potrebbe finire per danneggiare un comparto che i dati confermano essere tra i più floridi per il nostro Paese. Lo è anche dal punto di vista occupazionale: oltre un milione di persone ha lavorato nell’ambito agroalimentare nel 2017. Ciò non toglie che vi sia comunque un calo nel numero degli occupati del settore, ma meno sensibile di quanto non sia accaduto in altri Paesi europei. Questo perché la vocazione italiana alla produzione agroalimentare è molto forte, ed è per questo di fondamentale importanza che essa sia resa sostenibile per tutti i soggetti della filiera anche attraverso il varo di norme che aiutino l’agricoltura, abbattendo i costi e aumentando i guadagni.