Gli italiani scelgono il km0 e biologico ma poi mangiano altro

Nella terza edizione dell’Osservatorio Nazionale sullo stile di vita realizzato da Lifegate è emerso che gli italiani sono molto sensibili al tema dell’alimentazione sostenibile. Si intende per alimentazione sostenibile un tipo di alimentazione che si basa su cibi sani ottenuti con un basso sfruttamento di risorse idriche e un basso impatto sul territorio, rispettando gli ecosistemi circostanti, cercando di ridurre al minimo le emissioni di carbonio e azoto, e accessibile a tutti anche economicamente. Questa tematica sembra essere nota al 36% della popolazione italiana, soprattutto tra i giovani dai 18 ai 24 anni. E’ risultato argomento noto soprattutto tra i laureati e i liberi professionisti. Sono risultati quindi per la maggior parte i giovani quelli più sensibili a queste problematiche e che nella pratica sostengono l’alimentazione biologica cioè quell’agricoltura che sfrutta la naturale fertilità del suolo intervenendo in maniera limitata e non invasiva e che esclude l’utilizzo di materiali e concimi sintetici e l’utilizzo di specie OMG (organismi geneticamente modificati).

Una curiosità che emerge dal suddetto studio è che il concetto di sostenibilità per il 47% degli italiani è un valore sentito profondamente da una parte, dall’altro lato c’è un’identica percentuale di persone (47%) che ritiene che seguire questo tipo di alimentazione e di stile di vita sia solo una moda.

Inoltre, il 57% si dichiara favorevole a pagare i prodotti di più purché provengano da filiera corta: la filiera corta è quell’iter per cui gli alimenti dalla produzione alla consumazione facciano i minori passaggi possibili, meglio ancora se il passaggio avviene direttamente tra produttore e consumatore ( il famoso km zero); il tutto per evitare in primis l’uso di carburante per trasportare le merci e in secondo luogo perché ci possa essere maggiore controllo e conoscenza dell’azienda stessa da parte del consumatore.
A favore dei Km zero, che però è sicuramente un sistema più caro, si sono dichiarati gli universitari e i liberi professionisti dell’Italia del Nord Est. I prodotti che si possono acquistare a km zero sono essenzialmente verdura, frutta, latte, legumi e cereali. Comprando questi prodotti sicuramente viene rispettata la stagionalità degli stessi e quindi è garantita una maggior attenzione alla qualità dal momento che un prodotto possiede il sapore più genuino nella sua propria stagione e non consumandolo come prodotto di serra. Inoltre acquistando prodotti ortofrutticoli a Km 0 si sostengono i produttori agroalimentari locali e si spingono i consumatori ad essere più attenti e più consapevoli nei propri acquisti. Questo sistema ha cominciato a prendere piede in Italia tra i giovani grazie alla nascita dei GAS (Gruppi di Acquisto Solidali) che permettono di risparmiare il viaggio per recarsi all’azienda locale e che facilita l’acquisto dei prodotti locali grazie a una rete di consumatori che collabora per il trasporto dei prodotti in genere una volta a settimana creando punti di incontro ove andare a ritirare i propri alimenti.

Purtroppo “Verba volant” e infatti se otto italiani su dieci si dichiarano sensibili a questi temi, nella pratica poi sono solo due su dieci che consumano prodotti biologici.

Gli italiani in alta percentuale hanno dichiarato di essere favorevoli all’agricoltura biologica alla filiera corta e ai km zero però poi a tavola si comportano differentemente e per pigrizia, per mancanza di tempo o di soldi rinunciano ai loro buoni propositi: solo il 27% delle persone intervistate ha ammesso di consumare a km zero e il 20% di comprare esclusivamente prodotti biologici. I vegetariani sono i più coerenti con le loro scelte e il 46% tra i vegetariani consuma solo a km zero.

Prodotti simbolo made in Italy anche a Taiwan

Che i prodotti italiani siano una vera e propria icona per quanto concerne il mondo dell’alimentazione in ogni parte del mondo non è certo una novità: ottime sono le notizie per quanto riguarda il consumo di cotechini, zampone e molto altro ancora. Ecco tutto quello che serve sapere sul successo del Made in Italy in cucina.

Cotechino e zampone rientrano sicuramente tra gli alimenti ideali quando si parla di alimentazione italiana. E a certificare questo aspetto rilevante ci hanno pensato i dati del Consorzio dello Zampone e del Cotechino di Modena IGP. Fino a qualche tempo fa il consumo di questi due prodotti era legato esclusivamente al periodo natalizio. Eppure dai dati che riguardano l’anno 2017 sembra proprio che le cose siano cambiate: infatti durante quest’anno il cotechino e lo zampone sono finiti molto frequentemente sulle tavole degli italiani. Rispetto al 2016 l’aumento è stato addirittura del 9%, un numero di certo consistente e che permette di annoverare questi due alimenti come must del Made in Italy. Le statistiche parlano di 2,2 milioni chili di cotechino che sono stati consumati in Italia. Invece lo zampone di Modena IGP è stato consumato per una quantità pari a 1,2 milioni, sempre riferendosi ai chilogrammi.

Un incremento di grande importanza, soprattutto se si guarda al lato economico di tali numeri. Il movimento di denaro è molto consistente: il giro d’affari arriva anche oltre i 28 milioni di euro, per cui si tratta di somme di una concreta rilevanza. Il Consorzio stesso ha voluto guardare alle esigenze dei consumatori in maniera molto attenta. Rispetto alle varianti tradizionali, molti sono coloro che prediligono prodotti alimentari che guardino alla salute: dunque senza glutammato e comunque con aromi per lo più naturali. Anche per questo motivo l’incremento è stato importante e ha permesso di guardare al futuro con ottimismo per quel che riguarda la crescita della commercializzazione dello zampone di Modena IGP e del Cotechino di Modena IGP.

Interessanti le stime che giungono direttamente dal Consorzio Mortadella Bologna IGP che hanno testimoniato un successo sempre più rilevante. Infatti la mortadella sta letteralmente spopolando: vanno a ruba le confezioni in vaschette comode, ideali per creare un semplice e delizioso aperitivo. Tutto ciò viene pienamente confermato nel momento in cui si pensa alle statistiche complessive dell’anno, periodo in cui è stato registrato un aumento del 10% in più rispetto all’anno precedente. Occorre sottolineare che questi numeri da capogiro fanno capire quanto la mortadella sia un prodotto adattabile a molte esigenze mantenendo comunque la sua caratteristica di alimento ideale per la convivialità. Traguardo importante per la mortadella di Bologna IGP anche all’estero dove i numeri sono consistenti: Spagna, Francia e Germania sono i paesi dove ha maggior successo questo prodotto alimentare che viene visto come un’icona dell’alimentazione italiana. Per capire quanto la mortadella stia diventando un insaccato scelto da tantissime persone nel mondo basti pensare che in Germania è in corso un tour promozionale sulla mortadella che arriverà fino al 2020. E senza dimenticare che anche il Giappone ha iniziato ad incrementare il consumo di questo prodotto.

E in ambito di insaccati italiani che sono richiesti in ogni parte del mondo, non si può non citare l’ormai celeberrimo prosciutto di Parma. Questo potrà essere commercializzato finalmente anche a Taiwan: il governo locale ha deciso di aprirsi al commercio di prodotti a base di carni provenienti dall’Italia. La notizia è molto interessante visto che Taiwan sembrava essere una frontiera ormai chiusa in tal senso e che invece è stata aperta quasi all’improvviso. Perció questo paese si va ad aggiungere agli oltre 90 che hanno creato una fitta rete commerciale per quanto concerne il prosciutto di Parma. Il mercato di Taiwan ha una funzione fondamentale per tutta l’area asiatica, essendo quello che assorbe mediamente 150.000 prosciutti all’anno. Dunque garantisce rifornimenti a paesi come Cina, Singapore e anche Hong Kong. Una scelta, quella di Taiwan, attentamente ponderata visto che esponenti delle autorità del paese hanno visitato i centri di produzione presenti in Italia così da toccare con mano la qualità dei prodotti.

Record esportazioni italiane nel mondo

 Le notizie che arrivano dalla Coldiretti fanno intravedere un panorama davvero incoraggiante per tutto ciò che riguarda il Made in Italy nel campo alimentare, tanto da parlare di vero e proprio record. Davvero roseo il quadro che emerge dalla lettura e dall’analisi dei dati relativi alle esportazioni dei primi mesi del 2018. Le quote delle esportazioni infatti non lasciano spazio alle interpretazioni, giustificando chi grida al record storico per i prodotti alfieri del Made in Italy nel settore agroalimentare.

A gennaio 2018, per la prima volta nella storia si sono superati i due miliardi e mezzo di euro. La cifra da sola forse potrebbe non essere esplicativa, ma basta metterla a confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente per capire qual è il reale impatto sull’economia nazionale: si è assistito a un incremento pari al 12,8 in punti percentuali sulle esportazioni.
I dati provengono da un’indagine a cura della Coldiretti, basata sull’analisi dei dati Istat che prendono in esame i numeri sul commercio estero nell’anno corrente. Un risultato che porta nuovo ossigeno in un momento in cui il cibo italiano ne aveva particolare bisogno. Il dato arriva a conferma di una potenziale ripresa del Made in Italy, che sembra così nuovamente in grado di contrastare le azioni provenienti dai responsabili delle frodi alimentari. Se si analizza il dato su un livello più generale, è possibile vedere come questo possa giocare un ruolo davvero importante per la ripresa economica dell’Italia, anche in termini occupazionali.

Se si prendono in esame le esportazioni nei confronti dei singoli Paesi è possibile vedere come l’Unione Europea sia in questo momento uno dei mercati di destinazione ideali per il cibo italiano. Il tricolore sulla tavola dei cugini dei paesi europei è stato particolarmente apprezzato nei primi giorni del 2018, tanto che la quota delle esportazioni dell’agroalimentare verso questo mercato occupa quasi i due terzi del totale.
Per quanto riguarda invece il mercato americano, che è da sempre uno dei principali estimatori dei prodotti del made in Italy agroalimentare, si registra un deciso calo. Questa flessione non interessa solo l’Italia e si deve in primo luogo alla politica estremamente protezionistica messa in piedi da Trump a partire da quando è salito al potere. I forti dazi imposti sull’agroalimentare preoccupano moltissimo agenti come la Coldiretti, perché gli Stati Uniti rappresentano ormai da anni il terzo mercato di riferimento per il cibo tricolore, preceduto solo da quelli di Francia e Germania.

È proprio quest’ultima a trainare in maniera netta le esportazioni italiane. Rispetto al gennaio 2017, quest’anno si è registrato un incremento di oltre dieci punti percentuali, con una quota che è arrivata a toccare quasi i quattrocento milioni di euro. Eppure non sono questi i dati più confortanti. In Francia, infatti, è dove si è assistito a un vero e proprio miracolo, con la quota delle esportazioni che è salita di quasi venti punti percentuali. 18,4% è infatti l’incremento, rispetto al gennaio 2017, delle esportazioni di prodotti agroalimentari italiani che hanno valicato le Alpi.

Lo scenario politico non influenza solo gli Stati Uniti: nel vecchio continente, infatti, a risentire principalmente nel mercato delle esportazioni è la Gran Bretagna, dove le paure e il futuro incerto legato alla Brexit hanno fatto sì che l’aumento rispetto all’anno precedente abbia registrato un misero 4,1%.

Secondo quanto affermato dal presidente nazionale della Coldiretti Moncalvo si prevede che la traiettoria dell’andamento dei mercati nazionali possa persino migliorare se si metterà in atto una politica volta a tutelare efficacemente dalle frodi derivanti dalla cosiddetta agropirateria. Questa vera e propria forza ha un fatturato stimato di oltre sessanta miliardi di euro l’anno, approfittandosi di tutto ciò che contraddistingue da sempre il made in Italy. Dalle immagini tipiche alle espressioni proprie, dalle ricette alle denominazioni: tutto quel che richiama anche solo alla lontana il Bel Paese viene associato a prodotti di fattura scadente e da considerarsi a tutti gli effetti taroccati. Essi non hanno nulla da spartire con le reali espressioni del Made in Italy e – sempre secondo Roberto Moncalvo – rappresentano il vero pericolo, l’unico davvero in grado di minare l’autorevolezza dei prodotti italiani all’estero.

I cibi primaverili più salutari

Anche se con qualche capriccio iniziale, la primavera è finalmente giunta con tutte le sue caratteristiche peculiari, per le quali tanto la amiamo. Sono tornate le giornate più lunghe e luminose, l’aria fresca e profumata dagli alberi in fiore e anche le nostre tavole si arricchiscono di sapori e colori che risvegliano in noi un’energia nuova.

Nonostante le moderne tecniche di coltivazione permettano di avere qualsiasi prodotto della terra in ogni periodo dell’anno, siamo fermamente convinti che la frutta e la verdura di stagione abbiano dei vantaggi indiscutibili. Consumare ortaggi di stagione permette innanzi tutto di rispettare l’ambiente e di risparmiare, poiché la loro coltivazione non ha bisogno di serre e tanti trattamenti chimici. Inoltre abbiamo la garanzia di avere un prodotto più sano, ancor più se esso è bio, e sicuramente più gustoso e completo di tutte le proprietà nutrizionali, che potrebbero essere falsate quando la pianta non segue il suo normale ciclo di vita.

Vediamo allora quali sono i principali prodotti che questa stagione ci offre, dagli ortaggi alla frutta.
Tornano ad accompagnare i nostri piatti delle belle insalate fresche, composte da foglie di lattuga oppure di indivia. Quest’ultima può essere consumata anche cotta, come gli amanti della pizza di scarole napoletana ben sanno, ma è bene ricordare che parte delle proprietà organolettiche di un ortaggio si perdono con la cottura. Sia la lattuga che l’indivia contengono betacarotene, precursore della vitamina A importante per il meccanismo della visione, specialmente notturna, e per la protezione della pelle dai raggi UV, e di vitamina C, che attiva l’acido folico, la vitamina E per la formazione del collagene e facilita l’assorbimento del ferro. Ottimi alleati delle insalate sono i ravanelli, ricchi di zinco, necessario per la formazione di ossa e muscoli, e vitamina C.

Grandi protagonisti, tipici del periodo pasquale, sono poi gli asparagi e le fave fresche. I primi donano il nome all’aminoacido di cui sono maggiormente composti, l’asparagina appunto, che migliora le funzioni energetiche cellulari e quelle epatiche. Gli asparagi favoriscono inoltre la diuresi e l’espulsione del sodio in eccesso. Le fave contengono un altro importante aminoacido, L-dopa, precursore del neurotrasmettitore dopamina, quindi fondamentale per la trasmissione nervosa. Sono inoltre un’importante fonte di ferro, così come i fiori di zucca, le cipolle novelle e le patate novelle. Le cipolle contengono anche flavonoidi e zolfo, il quale fa parte della cheratina, proteina strutturale di cute, unghie e capelli, mentre le patate sono una fonte rilevante di niacina, conosciuta anche come vitamina PP, implicata nella produzione di energia cellulare.

Infine tra i legumi che maggiormente ci ricordano che è primavera citiamo i piselli freschi, ricchissimi di micronutrienti importanti per svariate funzioni fisiologiche, quali calcio, fosforo, magnesio, rame, potassio, iodio, ma anche di una buona quantità di fibre, che favoriscono il transito intestinale.
Passando invece alla frutta, non c’è nulla che faccia più primavera dei nostri amati frutti rossi, in primis le fragole, che verso marzo ci annunciano l’inizio della nuova stagione, e poi le ciliegie, che ci accompagnano invece fino ai primi caldi di giugno. Le fragole, oltre a contenere calcio, potassio e vitamina C, contengono acido salicilico, che è un potente antinfiammatorio. Le ciliegie invece contengono antocianine e polifenoli, entrambi formidabili nella prevenzione dell’ossidazione cellulare, dal momento che ci proteggono dall’azione dei radicali liberi.

Dulcis in fundo, la banana. Siamo abituati ormai a vederla sul mercato tutto l’anno, ma forse non tutti sanno che è proprio questo il periodo per iniziare a trovare le più saporite. A volte vengono demonizzate perché tra i frutti a maggior apporto calorico, ma, a parte il fatto che si parla di 89 calorie per 100 grammi, comunque inferiori a qualsiasi spuntino “light” di pari peso, non si considerano le proprietà nutritive più che vantaggiose che le caratterizzano. Come è ben noto, sono tra gli alimenti a maggior contenuto di potassio, che è essenziale per la contrazione muscolare e per la neurotrasmissione e inoltre per il mantenimento del bilancio idrico e della pressione arteriosa. Inoltre le banane contengono pectina, una fibra solubile che aiuta ad abbassare le LDL, responsabili del cosiddetto colesterolo cattivo.

Piatti tipici Pasqua napoletana

CDA Market è il centro di distribuzione alimentare attivo nella provincia di Varese e che tiene alta la qualità dei suoi prodotti. Del resto, l’arte culinaria e il rispetto della tradizione a tavola contraddistinguono tutto il territorio italiano. Oggi vi vogliamo parlare della cucina partenopea, dove i napoletani cucinano quotidianamente e realizzano pietanze per giorni speciali, come in occasione della Pasqua.

Infatti, esistono diversi piatti tipici che caratterizzano la Pasqua partenopea. Insomma, a Napoli la Pasqua non è solo uova di cioccolata e colombe. Nelle cucine napoletane, anche nei giorni che precedono la festa, vengono preparati diversi piatti. Oltre all’agnello, simbolo del sacrificio, non mancano specialità che simboleggiano l’unione e la fratellanza.

In particolare, in occasione del pranzo del sabato, le tavole vengono arricchite con la fellata. Il termine ‘fella’ significa fetta e la fellata non è altro che un tagliere ricco di salumi vari, accuratamente affettati e distribuiti solitamente su un grande piatto da portata. La fellata include salami napoletani che rappresentano la ricchezza contadina e anche formaggi tagliati a spicchi. Una fellatta che si rispetti deve contenere anche le uova sode e la ricotta salata. Le prime rappresentano la rinascita e la risurrezione, mentre la seconda è il simbolo culinario della comunione religiosa e dei fedeli che condividono la stessa tavola.

Il giovedì santo è il giorno riservato alla pepata di cozze. Il piatto viene preparato in casa, sebbene molti napoletani usano consumarlo presso molti ristoranti tipici. Spesso la zuppa di cozze napoletana ricomprende anche polpo verace, fasolari, marruzzielli o lumache di mare. Talvolta sono presenti anche gli scampi. Il tutto viene accompagnato da freselle, aglio, prezzemolo e da olio piccante, altrimenti chiamato ‘o russ’.

 

Piatto principe della tradizione napoletana pasquale è anche la minestra maritata. Diversamente da quello che il nome minestra lascerebbe intendere, quella maritata è molto gustosa e saporita. Si tratta di un piatto antico, a base di carne e verdure, che richiede molta dedizione e una lunga preparazione. La minestra maritata è una pietanza che viene proposta alla domenica di Pasqua e prevede un mix di salsicce piccanti, cane di manzo, gallina, ma anche cicoria, scarola, broccoletti e verza. Questo piatto viene anche insaporito con cipolla, parmigiano e sedano. Viene servito con brodo fumante.

 

La vera Pasqua napoletana prevede anche altri piatti irrinunciabili. Uno di questi è il casatiello. Trattasi di una torta rustica, con uova intere, sporgenti e ben visibili. La tradizione vuole che venga preparata il venerdì sera e che lieviti una notte intera, per poi essere infornata il mattino seguente. L’impasto è a base di farina, acqua e lievito. Inoltre, ricomprende strutto, salame, provolone e pecorino. Una volta sfornato il casatiello può essere servito caldo oppure freddo.

Il tripudio dei sapori napoletani raggiunge il suo culmine nel dolce: la pastiera. Questo dolce non può proprio mancare in occasione della domenica di Pasqua e richiede una lievitazione lenta, per questo viene preparato il giorno precedente. Ogni famiglia napoletana aggiunge alcuni accorgimenti, ma la ricetta originale prevede un impasto a base di pasta frolla, strutto, ricotta, zucchero e cannella. Una pastiera preparata a regola d’arte presenta un caratteristico color caramello e un profumo intenso. Inoltre, la pasta frolla deve avere la giusta consistenza: rimanere morbida, ma senza rompersi durante la cottura. Come direbbero i napoletani: la pastiera deve far chiudere gli occhi sin dal primo morso.

 

Per realizzare i piatti descritti e molti altri ancora CDA Market rimane il punto di riferimento per trovare ingredienti di prima scelta, oltre che bevande e tutto ciò che serve per rendere memorabile il piacere di stare a tavola.

Record di esportazione per i formaggi italiani

È una delle ragioni dell’intramontabile disputa tra Francia e Italia. No, non su chi si aggiuca il primato in ambito calcistico. L’annosa questione ha sempre riguardato la supremazia in ambito alimentare, con aree di amichevole contenzioso concentrate principalmente su due eccellenze dell’enogastronomia: formaggio e vino.

Eppure, stando a una delle recenti notizie che provengono dai dati della Coldiretti, questa disputa pare aver trovato una risoluzione e proprio i cugini d’oltralpe si sono resi autori di alcune manifestazioni di stima e rispetto per i formaggi italiani.
Come segnala la più recente analisi effettuata dalla Coldiretti, che prende in esame i dati Istat registrati nel primo semestre del 2017, saranno oltre 400 i milioni di chili di prodotti caseari italiani che vengono consumati all’estero. E la Francia? I dati sono sbalorditivi: le esportazioni oltralpe sono quasi raddoppiate e se si volge lo sguardo agli ultimi dieci anni, le nostre esportazioni verso la Francia sono cresciute del 94%. I francesi hanno cominciato a conoscere e apprezzare i nostri prodotti, che fanno sempre più spesso capolino sulle loro tavole assieme a monumenti gastronomici come Brie e Camembert. Se si confronta il dato rovesciando i due Paesi, si può notare come le nostre importazioni di prodotti francesi siano sostanzialmente rimaste invariate negli anni. Di fatto, quindi, la Francia ha finalmente riconosciuto ciò che noi sappiamo da molto.
Guardando al complesso dei dati della Coldiretti, la situazione sembra davvero molto incoraggiante. Infatti ci troviamo di fronte a un momento storico, in cui i nostri formaggi registrano il record degli export con un 7% in più rispetto all’anno precedente.
Quali sono gli altri Paesi che hanno seguito l’esempio della Francia? Una menzione d’onore merita certamente l’Olanda che sta conoscendo una vera e propria adorazione per il Pecorino. Il formaggio stagionato per eccellenza ha registrato nei Paesi Bassi un + 77% se si confrontano i dati con quelli del 2016.
Altri Paesi con forti tradizioni casearie nazionali, come la nazione elvetica, hanno recentemente mostrato un crescente apprezzamento per i prodotti italiani. In Svizzera infatti, il consumo di formaggi nostrani è aumentato di otto punti percentuali nell’ultimo anno, dato ancor più importante se si pensa alla crescita di tutto il decennio (+22%).
Lo stesso discorso vale per la Grecia, patria del buonissimo formaggio feta, dove il consumo di mozzarella ha superato i 40 punti percentuali in più nel 2017 rispetto all’anno precedente.
Altri estimatori dei nostri formaggi da record includono la sempre fedele Germania, che occupa il secondo posto tra i maggiori Paesi importatori del nostro prodotto caseario, seguita a ruota dalla Gran Bretagna.

Quali sono in assoluto le specialità made in Italy a cui non si può proprio rinunciare all’estero? Come è facile immaginare sono proprio loro, il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano, forse tra i simboli in assoluto più riconoscibili del Bel Paese. Essi ammontano, se presi in esame congiunti, al 21% del totale delle esportazioni e sono alla testa della classifica di tutti i prodotti caseari ad avere ottenuto il riconoscimento europeo della propria denominazione d’origine.
Tra i primi posti nella classifica delle esportazioni del made in Italy troviamo anche il Gorgonzola, molto apprezzato negli altri Paesi che sono familiari con i propri erborinati, il Pecorino Romano, apprezzato soprattuto nei Paesi di lingua germanica e anglosassone e – ovviamente – la mozzarella di Bufala campana.
Come accade con qualsiasi cosa diventi popolare, anche in altri settori, la fama e l’apprezzamento portano un lato della medaglia ben poco piacevole: il fiorire di imitazioni. Secondo la Coldiretti sono proprio i nostri formaggi al top della classifica delle esportazioni ad essere quelli preferiti in ambito di truffa alimentare.
Basti pensare ad esempio al parmesao brasiliano o al parmesan, diffuso negli Stati Uniti e in Canada: in tutti questi Paesi l’imitazione con il nome leggermente storpiato ha largamente superato il volume di acquisto del suo corrispettivo originale e tricolore.
Eppure, è la stessa Coldiretti a vedere un segnale particolarmente incoraggiante in questo segnale forte di ripresa che ha interessato il settore caseario, grazie anche all’obbligo – reso fattivo nell’aprile dello scorso anno – di apporre in etichetta la provenienza della materia prima, ossia del latte.

Enogastronomia: Piemonte primo in classifica

CDA Market, centro di distribuzione alimentare situato in provincia di Varese, è noto in tutta Italia e nel mondo per l’elevata qualità dei prodotti messi a disposizione: si seguono fermamente criteri quali la genuinità, la bontà dei sapori e il rispetto della tradizione. Il catalogo di alimenti forniti è estremamente variegato, composto da numerose specialità enogastronomiche volte a soddisfare qualsiasi palato. Gli ingredienti, accuratamente selezionati, rappresentano una garanzia di autenticità e sono adoperati per realizzare pietanze uniche, sia dolci sia salate, apprezzate per il loro gusto naturale e per l’accuratezza dei processi di lavorazione. Ci si affida esclusivamente ai migliori marchi di produzione presenti sul mercato, i quali includono articoli dolciari, vini e altre bevande, salumi, formaggi e surgelati.

Nel territorio italiano esiste un vero e proprio culto del cibo: il semplice atto del mangiare, in diversi casi, diventa quasi un rito sacro. Secondo una recente statistica, il Piemonte si colloca al primo posto nella classifica dei piccoli comuni dal punto di vista dell’enogastronomia, in quanto custodisce ben 23 specialità Dop e Igp. Le pietanze tipiche sono strettamente legate alla tradizione, rappresentano un autentico tesoro da salvaguardare. I piatti caratteristici dei piccoli centri piemontesi sono stati tramandati nel corso del tempo e preservati dal costante impegno degli imprenditori, proprio come accade con altre tipologie di beni.
Gli alimenti fanno parte del patrimonio regionale e nazionale e costituiscono non solo un individuale piacere quotidiano, ma anche un solido pilastro delle attività ricreative e del turismo. CDA Market offre, ad esempio, una vasta selezione di frutta e verdura di assoluta freschezza, prodotti totalmente certificati e coltivati da professionisti del settore. È possibile acquistare anche frutta secca di tutti i tipi, nocciole, albicocche, arachidi, mandorle e così via, nonché frutta candita e sciroppata. Anche la scelta di verdure al naturale è senza dubbio varia, così come quella dei legumi, dei funghi e dei tartufi. Presso il centro è possibile procurarsi del pregiato olio di oliva oppure di semi, a seconda delle esigenze culinarie, e molteplici condimenti quali il pesto, il ragù, il sugo alla pescatora e quello all’amatriciana.

Il catalogo di CDA Market è ricco anche dal punto di vista dei formaggi. Questi ultimi sono disponibili a pasta dura e molle, realizzati con latte vaccino, di capra o di pecora, oltre al classico formaggio grattugiato perfetto per valorizzare numerosi primi piatti. Non bisogna trascurare l’ampio assortimento di latte, compreso quello in polvere e a lunga conservazione, di panna e di latticini. Il centro è conosciuto in tutta Italia e nel resto del mondo per la pregiata qualità delle sue carni, sia fresche sia conservate, e per la varietà dei salumi forniti: i clienti possono arricchire le proprie tavole con gustosi salami, prosciutti, bresaole, speck, pancette e mortadelle. Diversi prodotti sono combinabili in cesti natalizi e pasquali personalizzati, idea regalo sempre apprezzata nelle case di tutto il territorio. Oltre alle carni, sono offerti anche pesci freschissimi, fritture e stuzzicanti pizzette per aperitivi.

Le bevande e i dolci, essenziali per concludere i pasti, rappresentano a loro volta un elemento fondamentale del patrimonio culinario italiano. Il catalogo del centro di distribuzione comprende biscotti, tavolette di cioccolata e molteplici ingredienti per dolciumi, quali le uova, la farina, lo zucchero classico e quello a velo, le gelatine e le confetture. Non mancano naturalmente i panettoni, i pandori, le caramelle, il torrone: un costante richiamo della tradizione. Il caffè, il tè e il cacao costituiscono a loro volta prodotti molto richiesti, proprio come i vini, le birre, gli spumanti e i liquori, spesso necessari per accompagnare un buon pasto. Meritano di essere menzionati, infine, i piatti pronti proposti da CDA Market, estremamente diversi per tipologia: le cotolette, le crespelle, le fettuccine, le lasagne e l’insalata russa sono soltanto alcuni esempi, un’ottima soluzione se per un giorno non si dispone di tempo a sufficienza per la cucina.

Il 2018 è l’anno nazionale del cibo italiano

La storia si compone di date, epoche e fatti, ma a pensarci bene è molto di più. Accoglie in sé anche momenti di vita vissuta dalle popolazioni che hanno abitato la terra e tuttora la occupano.
Durante la sua esistenza l’essere umano lascia delle tracce tangibili che vanno al di là dei documenti e delle costruzioni e che rappresentano tanto quanto le opere in ferro o cemento, l’identità nazionale.

Si tratta di cultura, che si può comporre di arte, architettura, letteratura, ma che include in modo molto sentito anche la cucina, un po’ in tutto il mondo, ma soprattutto su tutta la penisola italiana. La cultura gastronomica italiana ha un valore identitario che, a partire dagli albori della civiltà classica, ha interessato tutta la penisola, di regione in regione, dando vita a prodotti, ricette e piatti tipici di un dato territorio, tanto che ne sono diventati l’emblema.

La cultura gastronomica italiana fa dunque parte della storia del Paese e vede nel 2018 un anno di enorme importanza per il suo riconoscimento e la sua ulteriore valorizzazione e diffusione nel mondo. Secondo un progetto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (nelle persone dei ministri Dario Franceschini e Maurizio Martina) il 2018 è stato infatti proclamato “anno nazionale del cibo italiano” e accoglierà una serie di iniziative gastronomiche e culturali di enorme rilievo e importanza per il nostro Paese, un’occasione imperdibile per diffondere la conoscenza dei nostri piatti più rappresentativi al di fuori dei confini nazionali.

Queste iniziative non si limiteranno a diffondere la cultura gastronomica italiana, ma a valorizzare in modo particolare il carattere ufficiale di alcuni prodotti in quanto patrimoni mondiali dell’Unesco e fare così in modo che ottengano maggiore riconoscimento e visibilità anche quelli che sono in lizza per diventarlo.
Tra i primi ricordiamo con orgoglio la vite ad alberello di Pantelleria, la dieta mediterranea (da tutti elogiata come esempio di tradizione culinaria sana e genuina) e la recente aggiunta dell’arte del pizzaiuolo napoletano. Tra i secondi troviamo invece il Prosecco e l’Amatriciana.

Non si tratta, come avviene spesso, solamente di una valorizzazione a scopo economico e turistico, ma una vera e propria missione culturale allo scopo di esaltare un patrimonio che è unico al mondo, fatto di arte, cucina, agricoltura, territorio, paesaggi e storia. È il legame tra questi elementi culturali a essere promosso, per ribadire ancora una volta e con forza, che l’Italia è una terra ricca, eterogenea e completa, da proteggere e omaggiare in ogni suo aspetto.

Durante il corso dell’anno, gli eventi organizzati mireranno non solo a far conoscere i piatti più rappresentativi del nostro Paese, ma anche ciò che ha dato loro vita, ossia i paesaggi rurali che hanno visto la crescita degli ingredienti, le specie da cui quegli alimenti provengono e le persone che hanno contribuito a crearli. Si tratta dunque di dare visibilità a tutti quei contadini, allevatori, agricoltori e pescatori che ogni giorno dedicano la loro vita ai frutti del territorio.
L’anno nazionale del cibo 2018 si concentrerà anche su campagne informative sugli sprechi alimentari, sul valore delle preparazioni tradizionali e manuali e sull’importanza dei piccoli produttori.

Gli eventi inizieranno a partire da questo gennaio 2018 e avranno come tema principale la cucina nell’arte, valorizzando in questo modo i numerosi musei italiani che accolgono, nelle loro gallerie, dipinti e statue di grandi autori che hanno inserito il cibo e la sua grande valenza culturale, nelle loro opere.
Vista la recente scomparsa di Gualtiero Marchesi lo scorso dicembre 2017, l’anno nazionale della cucina italiana 2018 sarà dedicato a questo grande chef e gastronomo italiano, in omaggio a ciò che Marchesi ha fatto per la valorizzazione del nostro patrimonio enogastronomico.

I 30 migliori panettoni Italiani artigianali di questo 2017

Si avvicina il Natale e sette palati importanti hanno stilato la classifica dei panettoni artigianali, di pasticceria, più buoni del 2017. Quali sono? Alcuni sorprendono per aver raggiunto ottimi livelli, altri per essere stati esclusi. Tutti accomunati dal prezzo: fino a 40 e oltre euro al kg!

I tre panettoni sul podio

1. Il capolavoro di Tiri 1957: per la terza volta il panettone Tiri si aggiudica il primo posto assoluto nella classifica della pasticceria dei dolci natalizi. Il suo panettone si caratterizza per l’impasto soffice come quello di nessun altro, grazie alla tripla lievitazione. Per non parlare degli ingredienti, scelti tra i migliori del mondo: uvetta australiana, burro francese, canditi da frutta fresca del Sud Italia. Infine, per Tiri, solo uova di galline nate e allevate libere e miele di acacia. Occorrono ben 72 ore per realizzare un solo panettone: alto, morbido, una pasta gialla che si scioglie in bocca e un equilibrio di dolcezze che si amalgamano in bocca ad ogni morso.

2. La medaglia d’argento per la Pasticceria Agricola Cilentana, che propone un panettone realizzato con ingredienti auto-coltivati: artigianale al 100%, dunque. Il panettone cilentano ha, come ingrediente speciale, il burro di bufala. Questo gli conferisce un sapore molto particolare. Un dolce molto lievitato, con impasto denso ma raffinato e canditi deliziosi.

3. Al terzo posto si classifica Gino Fabbri, il Presidente dell’Accademia Maestri Pasticceri, che porta sulle tavole italiane tutta la sua maestria sottoforma di un panettone al profumo d’arancia, mandorlato e zuccherato con generosità. Punta di diamante di questa delizia: le uvette molto dolci e morbide, distribuite in un impasto soffice, ricco di alveoli, a pasta gialla, carico di sapore.

Tutti gli altri panettoni entrati in classifica

4. Mauro Morandin, che di solito stupisce per i suoi panettoni salati, quest’anno ha realizzato un panettone dolce da fine del mondo. Lievitato ad arte, tanto da essere altissimo, con una crosta sottile e friabile e un impasto morbido ma consistente, valorizzato da scorzette d’arancia bionda candita.
5. Pasticceria Pepe, che presenta un panettone piuttosto basso ma perfetto negli equilibri di gusto. Un panettone a lunghissima lievitazione, che si riscontra nella pasta sofficissima, ricca di alveoli tutti uguali.
6. Iginio Massari, il Maestro bresciano, propone agli italiani un panettone dalla pasta dorata, ricoperto di mandorle e granella, dalla lievitatura impeccabile.
7. Martesana, che si classifica tra i primi dieci con un panettone soffice e non eccessivamente dolce, anche grazie all’arancia candita che dona un tocco di asprezza.
8. Pasticceria Vignola in ottima posizione, col suo panettone dall’aspetto casereccio, caratterizzato da un impasto corposo ma soffice, ricco di burro di cacao.
9. Panicifio Ascolese si aggiudica il premio per il più delizioso cedro candito del 2017. Il suo panettone è ricco di canditi deliziosi, in una pasta compatta, forse leggermente asciutta.
10. Pave’ è stato considerato un Signor Panettone: sarebbe stato perfetto se fosse stato leggermente più umido. Non eccessivamente dolce, dal sapore di pane.
11. Salvatore Gabbano ha avuto un buon giudizio: il suo panettone, anche se da perfezionare, denota una lievitazione speciale, che gli dà una consistenza unica, non troppo spumosa.
12. Marigliano: un panettone ricco di grossi alveoli, a pasta gialla, sontuoso, con una crosta molto cotta. Al morso si percepisce subito un deciso sapore d’agrume.
13. Renato Bosco propone un panettone dalla consistenza pastosa, un impasto poco burroso ma ricco di lievito e canditi.
14. Pasticceria Marisa si aggiudica un ottimo giudizio per l’impasto morbido, gustoso e burroso ma viene ripresa per la cupola poco invitante.
15. Pasticceria Mamma Grazia guadagna il posto di metà classifica, con un panettone dall’impasto umido al punto giusto e profumato d’agrumi.

Nella seconda parte della classifica:

16. Infermentum: fortemente lievitato, forse un po’ troppo cotto.
17. Rigacci48: il sapore del burro è delicato ed eccezionale, la pasta un po’ troppo densa.
18. Biasetto: profumatissimo, ma sarebbe stato perfetto con qualche mandorla in più.
19. Olivieri 1882: a pasta lucente, basso, soffice e cotto a regola d’arte.
20. Pasticceria Pansa: offre un panettone alla milanese, basso, ottima la pasta ma poco gialla.
21. Angelo Grippa: un panettone dalla crosta perfetta, scanalato e con l’uvetta che sgorga fuori.
22. Panificio Moderno: propone un panettone forse un po’ casereccio, ma dalla lievitatura perfetta.
23. Gianpaolo: un milanese basso ma con poca granella.
24. Dolciarte: un panettone soffice e a pasta molto gialla, forse poco cotto sulla cupola.
25. Tabiano: molto alto, molto soffice, un po’ pallido sulla crosta.
26. Comi: un panettone dallo stile rustico, merita il posto in classifica perché il sapore supera di molto l’aspetto.
27. Giovanni Pina: un panettone a pasta densa, ricco di canditi di vera frutta.
28. Spazio Sampa: un panettone che ha tutto il diritto di entrare in classifica, ben lievitato e ricco di sapore e profumo.

I grandi esclusi

Deludono quattro grandi:
29. Ernst Knam, il re del cioccolato: il suo panettone è troppo cotto.
30. Rinaldini, una celebrità: il suo, invece, troppo crudo.
Deludono anche Sal de Riso ed Enoteca Posillipo: non all’altezza delle aspettative. A pari merito a un trentunesimo posto non contemplato dalla classifica, premio di consolazione.

I piatti natalizi della tradizione culinaria italiana

La tradizione natalizia italiana a tavola è tanto tipica quanto varia non solo da nord a sud o da regione a regione, ma addirittura da paese a paese.

Al nord si festeggia in modo più attento e ricco il pranzo del 25 dicembre, mentre al sud si tende a fare il grande cenone della vigilia.
Un aspetto che accomuna ogni città italiana è che mentre il 24 si mangia pesce o comunque non si cucina la carne, il 25 qualsiasi tipo di preparazione è ammessa.
I piatti, che solitamente sono di una cucina “povera”, diventano come per magia eleganti, mostrandoci una tavola ricca e imbandita che ci riempie occhi e stomaco.
Paese che vai e usanza che trovi, lo stesso vale per i menù natalizi che non solo si differenziano per l’area geografica, ma anche per la tradizione familiare.

Il Natale a tavola del nord Italia prevede i piatti più vari che vanno dai canederli in brodo trentini, selvaggina e polenta, il classico strudel di mele e zelten con frutta secca, al Natale lombardo dove troviamo casoncelli in brodo, l’anguilla, il cappone ripieno, magari accompagnato da mostarda, e il classico panettone.
Non mancano mai il lesso servito con le varie salsine, i formaggi, il cotechino e tutti quei piatti che tradizionalmente hanno una lunga preparazione.
In Veneto si mangia la polenta con il baccalà, il lesso di manzo con una salsa di rafano e spesso si accompagna con un purè di patate.

Nel centro Italia un classico immancabile sono i tortellini o passatelli in brodo, le lasagne, i crostini di fegatini toscani, i maccheroncini di Campofilone marchigiani, il capitone, l‘anguilla fritta in carpione e le puntarelle servite fredde e condite all’ultimo secondo con una salsina alle acciughe.
Il torrone, il panpepato e sempre presente è la frutta secca.

Al sud la tradizione ci racconta di grandi cenoni con tombola annessa dove si mangia baccalà fritto, spaghetti alle vongole, frittura mista, la classica “insalata di rinforzo” e i simpatici e dolcissimi struffoli.
Le cime di rapa pugliesi, i panzerotti fritti ripieni di pomodoro e mozzarella, e le cartellate, meravigliosi dolci fritti a forma si spirale guarniti con miele o mosto.
In Sicilia non è Natale senza lo sfincione che altro non è che una pizza a base di cipolla, l’agglassato di carne, uno stracotto di manzo con cipolle con le quali viene preparata una riduzione che può essere usata anche per condire la pasta o accompagnare la carne e per finire le ricche cassate e i dolci cannoli.

In Sardegna si mangiano moltissimi antipasti composti da “coratella” (fegato e cuore di agnello), carciofi con la bottarga e la “cordula” (intestini di agnello avvolto su se stesso e cotto nel tegame). Immancabile il porcetto sardo, un piccolo maialino da latte arrosto delicatissimo e tenerissimo, e i culurgiones de casu che sono dei ravioli ripieni solitamente conditi con un sughino di pomodoro fresco.
In Calabria c’è una buffa tradizione che dice che i piatti serviti debbano essere tredici. Il peperoncino qui è sempre presente e si cucina sia pesce che carne, concludendo con i tipici dolci chiamati turdilli che sono delle semplici palline di pasta fritta rotolate poi nel mosto.

In ogni regione, in ogni città, in ogni piccolo paese italiano la tradizione natalizia a tavola è sempre diversa, ma c’è un comune denominatore: la ricchezza dei piatti e la cura con cui vengono preparati che fanno in modo che il Natale sia un giorno unico.