5 primi piatti autunnali da proporre nel tuo locale

Le serate diventano sempre più frizzanti e si ritorna a tirare fuori i primi plaid e le prime giacche. 

Se stai cercando dei piatti che possano essere sinonimo di calore e di atmosfera autunnale, sei nel posto giusto. 

Ecco 5 primi piatti dal sapore autunnale da portare nel menu del tuo ristorante

Tagliatelle ai funghi 

Un primo piatto di pasta fresca dal sapore autunnale. 

Grazie alla cremosità dei funghi e la porosità delle tagliatelle creerai un piatto gustoso e avvolgente. 

Minestrone di verdure 

Simbolo di casa e di semplicità, il minestrone di verdure è un primo piatto intramontabile. 

Usa sempre verdure fresche e di stagione, ideale da accompagnare con crostini di pane bruschettato.

Risotto con Gorgonzola e Pere

Se dovessimo dare un titolo a questo piatto sarebbe “Gli opposti si attraggono”

La sapidità della gorgonzola e la dolcezza della pera rendono questo primo uno dei piatti più attesi della stagione autunnale. 

Provare per credere!

Tagliatelle al Tartufo

Alcuni lo preferiscono bianco, altri nero. 

Cosa c’è di meglio di un buon piatto di tagliatelle al tartufo ?

Un primo piatto ricercato che non può mancare nel menù di un locale. 

Risotto alla Zucca 

Il risotto alla zucca è un primo semplice e allo stesso tempo sofisticato.

Puoi scegliere di creare degli abbinamenti ad hoc con salsiccia o speck ma la verità  che è già buono così.

Dove trovare le materie prime ideali per i tuoi piatti

Tutti i prodotti per la realizzazione di queste ricette sono reperibili nel nostro catalogo online.

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    Pranzo di lavoro Smart & Safe

    Settembre è una sorta di nuovo capodanno: si riprende il vecchio stile di vita, si rinnova l’abbonamento in palestra, si ricomincia ad andare al cinema e ovviamente si ritorna al lavoro. 

    In questo ultimo anno e mezzo le nostre case sono diventate contemporaneamente uffici, ristoranti, palestre…

    Oggi però, man mano che le restrizioni per la pandemia si attenuano e sempre più gente viene vaccinata, si ritorna al lavoro in ufficio e con esso anche i pranzi di lavoro. 

    Il ritorno dei pranzi di lavoro: le abitudini dei consumatori stanno cambiando 

    Possiamo ufficialmente dire che i pranzi di lavoro sono ritornati, i ristoranti sono sempre più pieni e le abitudini stanno cambiando. 

    Insieme al cambiamento dettato dal Covid-19 ne sono arrivati altri: lo scopo, sempre più crescente degli ultimi anni, è quello di dire NO a patatine fritte e Junk Food e offrire sempre più pasti salutari, biologici ma soprattutto che non impattino sull’ambiente. 

    5 consigli per ristoratori: pranzo salutare e sicuro

    Anche se pub, pizzerie e ristoranti stanno prendendo sempre più misure di sicurezza, 

    oggi vogliamo offrirti 5 consigli da attuare nel tuo locale per rendere il pranzo di lavoro ancora più sicuro e confortevole: 

    Menù Light

    L’offerta proposta dovrebbe essere caratterizzata principalmente da piatti leggeri, salutari e anti abbiocco. 

    Tra i piatti più apprezzati ci sono le insalate con verdure e cereali, ma anche le insalate con verdure e proteine (es. pollo). 

    Prezzi accessibili

    Pensa ad una formula conveniente per i tuoi clienti, spesso quella più apprezzata è la celeberrima formula “menù fisso”, composta da una portata + acqua e caffè. 

    In alternativa potresti puntare sulla fidelizzazione e pensare a delle fidelity card, una vera e propria raccolta punti in cui ogni 10 pranzi, uno è gratis. 

    Utilizza dehors e spazi esterni

    Se ne hai la possibilità prova ad allestire spazi esterni all’aperto o dehors, in modo tale da garantire ancora maggiore distanziamento e sicurezza. 

    Delivery e Take Away

    Molti ristoranti, una volta eliminata la zona rossa, hanno eliminato la possibilità di prenotare con Delivery e Take Away

    Questo è un errore enorme, non solo perché sempre più persone tendono ad acquistare cibo da asporto ma perchè c’è ancora una fetta di smart workers che continuano a lavorare da casa.

    Innovazione 

    Offri la possibilità di prenotare un tavolo in anticipo attraverso una pratica App, oppure, onde evitare di maneggiare ancora i buoni vecchi menù cartacei, crea un QR code da poter scansionare direttamente da cellulare una volta seduti al tavolo.

    Permetti di pagare direttamente da App o attraverso metodo contactless.

    Conclusioni 

    Questi sono soltanto alcuni piccoli accorgimenti che possono cambiare il modo di vivere la pausa pranzo nel tuo locale, ma presto potrebbero arrivarne altri!

    Se hai letto fin qui saprai già come presentare delle ottime soluzioni per un buon pranzo di lavoro. 

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      Scegliere il biologico: tutto quello che un ristorante dovrebbe sapere

      Che sia importante mangiare biologico, per la nostra salute e per il nostro pianeta, è ormai chiaro a tutti. 

      Ogni giorno vediamo un proliferare di libri, riviste, blog che ci spingono a scegliere determinati prodotti piuttosto che altri. 

      Secondo Wikipedia: 

      L’agricoltura biologica è un tipo di agricoltura che sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limitati; vuole promuovere la biodiversità delle specie domestiche (sia vegetali, sia animali), esclude l’utilizzo di prodotti di sintesi e degli organismi geneticamente modificati (OGM).”

      Gli elementi biologici non contengono pesticidi, sfruttano maggiormente le proprietà del suolo generando prodotti più freschi, pieni di vitamine e gustosi, motivo per cui il biologico è sempre più apprezzato dai consumatori, anche al ristorante. 

      Ovviamente quando parliamo di biologico intendiamo anche l’universo dell’allevamento: consumare carne o formaggi provenienti da aziende agricole significa mangiare carni e latticini freschi, derivati da animali che non vengono allevati in maniera intensiva o con antibiotici. 

      Mangiare biologico: ecco alcuni consigli

      Di fronte all’argomento biologico una delle obiezioni più frequenti riguarda il costo e dove reperire prodotti biologici

      Ecco alcuni consigli: 

      • Acquista nei mercatini degli agricoltori: in molte città ci sono dei veri e propri mercatini settimanali;
      • Nel tuo ingrosso alimentare di fiducia scegli il reparto Bio: su ogni confezione è presente l’origine del prodotto;
      • Online potrai trovare molti siti di cibo biologico che fanno consegne in tutt’Italia e all’estero; 
      • Scegli frutta e verdure di stagione: più economiche ma soprattutto più buone.

      Perché promuovere il BIO nel tuo ristorante

      Negli ultimi anni la ristorazione si sta ponendo sempre più obiettivi trasversali: ovvero cercare di offrire abitudini alimentari corrette, rispettare l’ambiente e l’ecosistema, oltre a tenere sempre in considerazione il congruo rapporto tra qualità e prezzo. 

      Stai pensando a dei piatti biologici da introdurre nel tuo ristorante?

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       Potrai trovare una vasta gamma di prodotti buoni, sostenibili ed equilibrati.

      Le marche biologiche presenti in CDA 

      Per noi di CDA Market è importante proporre ai nostri clienti una vasta gamma di marche che trattano prodotti bio, tra cui: 

      • Granoro
      • Fiorentini
      • Ortuso
      • Robiola Osella
      • Galbusera
      • Gruppo Végé
      • Rigoni Asiago
      • Biffi
      • Ponti
      • Ohi Vita

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        I piatti della tradizione natalizia da Nord a Sud della penisola

        Le tavole degli italiani, durante il Natale, sono un trionfo di sapori e colori tipici della tradizione regionale.
        Oggi andremo alla scoperta dei piatti natalizi del Belpaese.
        Nella Valle d’Aosta, molto apprezzati sono i salumi tipici e i formaggi accompagnati dalla polenta.
        Tra i primi piatti, è indispensabile menzionare la “zuppa alla Valpellinentze“; la seconda portata prevede selvaggina o vitello al forno accompagnato da patate e, per terminare, il Montblanc.
        In Piemonte sono gettonati gli agnolotti del plin, preparati con pasta fresca ripiena di carne, il vitello tonnato, e, come dessert, le “bignole“.
        Anche le tavole lombarde, per quanto concerne gli antipasti, vedono come protagonisti gli affettati.
        I tortelli di zucca costituiscono il primo piatto preferito e solitamente prevedono come condimento burro e salvia.
        La seconda portata spazia dal cappone ripieno in brodo alla faraona arrosto, ed ancora all’anguilla ai ferri.
        Il dolce per eccellenza è il popolarissimo “Panetùn“.
        In Liguria, il primo piatto dominante è costituito dai natalini in brodo di cappone o i ravioli al tocco che sono realizzati con pasta fresca ripiena di carne ed interiora ed alcune piante come maggiorana, scarola ecc..
        Il coniglio alla genovese è il re indiscusso dei secondi della tradizione ligure; mentre per i dolci, trionfano il pandolce o i ravioli ripieni di marmellata.
        In Trentino Alto Adige i protagonisti sono i “canederli” e i “casunziei“: pasta ripiena di patate e rape che solitamente ha la forma di una mezza luna; il gulash alla trentina come secondo piatto e, dulcis in fundo, lo strudel.Sulle tavole del Veneto non possono mancare il risotto alla trevigiana seguito dal baccalà alla vicentina.
        Come dessert? Sicuramente l’intramontabile pandoro.Tra i piatti tipici della tradizione natalizia del Friuli, primeggiano gli gnocchi, il gulash e la “gubana“: un dolce ripieno di uvetta, liquore e frutta secca (precisamente noci e pinoli).In Emilia-Romagna, i protagonisti indiscussi sono i tortellini; per quanto concerne il secondo, viene consumato un piatto a base di bollito e, per il dolce, dei “tortelli di Natale” che vengono fritti o cotti al forno e farciti con crema o pesto natalizio.
        I tortellini sono presenti anche sulle tavole della Toscana e vengono cotti nel brodo di pollo, il secondo tipico di questa regione è l’arrosto misto e/o la faraona.I piatti tipici dell’Umbria sono pappardelle al cinghiale e costolette panate, da alternare a salsiccia in umido con lenticchie. Le “pinoccate” costituiscono il dessert e sono realizzate con pinoli e zucchero fuso, a forma di biscotti.

        Nelle Marche l’antipasto per eccellenza sono le olive all’ascolana; il cappone viene consumato sia per la seconda portata che per la prima sotto forma di brodo in accompagnamento ai cappelletti. Il dolce tipico è la “pizza di Natale“.

        Il menù in Abruzzo prevede la lasagna, anche detta timballo, tacchino alla canzanese, arista alle prugne e il “parrozzo“, un dolce tradizionale apprezzato anche dal poeta D’Annunzio.

        Nella regione del Lazio si inizia con delle gustose bruschette, si prosegue con pasta ai broccoli in brodo di arzilla, spaghetti cacio e pepe, baccalà fritto e, in conclusione, il “panpepato”.

        Nel Molise abbiamo spaghetti con le seppie, maiale e “Milk Pan“, un dolce bagnato col liquore e avente la forma di uno zuccotto.

        Il menù della Campania prevede: pizza di scarola, pasta con le vongole, baccalà fritto e una valanga di dolci come roccocò, struffoli, mostacciuoli ecc…

        In Puglia dominano i “cavatelli ai frutti di mare“, il baccalà fritto e, per quanto concerne il dolce, una specialità a base di miele che prende il nome di “cartellate“.

        In Basilicata abbiamo gli “strascinati al ragù“, il baccalà e le pettole arricchite con uvetta e miele.

        Il menù in Calabria prevede un ricco antipasto a base di salumi e formaggi tipici e crespelle seguito da spaghetti con le alici, stoccafisso con le patate, torroni e petrali, i quali sono realizzati con una base di pasta frolla e ripieni di frutta secca, fichi e vino cotto.

        L’antipasto in Sicilia per eccellenza sono le crespelle ripiene di ricotta; seguono poi il “ripiddu nivicatu” ossia una rivisitazione della pasta al nero di seppia, baccalà fritto, falsomagro e i “buccellati” fatti di pasta frolla e ripieni di mandorle o fichi.

        Il menù in Sardegna è molto ricco: linguine con ricci o gnocchetti con il sugo d’agnello per i primi, il “porceddu” o le seppie ripiene come secondo, e le “pabassinas” che sono un dolce tipico.

        I migliori luoghi in Italia dove trovare i tartufi

        Sebbene sia spesso erroneamente identificato con un fungo, il tartufo è una delle specie tuberacee più raffinate che arrivano a solcare le nostre tavole.

        Anche la ricerca stessa del tartufo non è cosa da tutti, infatti oltre a richiedere il possesso di uno specifico tesserino, necessita di una notevole dose di esperienza, utile a evitare il danneggiamento delle tartufaie e il degrado paesaggistico causato dalla realizzazione di buche non necessarie.

        Tartufo in Italia: località di maggior interesse

        L’Italia è un territorio fertile per questo tipo di tubero: basta seguire la dorsale appenninica per assicurarsi di toccare aree ricche di tartufaie di diverse qualità e pregio. La regione più importante per la produzione e la raccolta del tartufo è sicuramente il Piemonte, dove troviamo i più ricercati tartufi bianchi e neri, in particolare attorno alla zona di Alba (Cuneo). Altre località di spicco sono Acqualagna per i tartufi bianchi e Bagnoli Irpino per quelli neri.

        Rimanendo nel settentrione, sicuramente anche il Veneto merita una menzione per quanto riguarda la ricerca dei tartufi, collocandosi tra le località più redditizie assieme alla Lombardia. Seguendo invece lo scheletro della nostra penisola, costituito dalla catena degli Appennini, le regioni di maggior interesse risultano l’Emilia Romagna, la Toscana, il Lazio, l’Umbria, il Molise, le Marche, la Campania e la Calabria.

        Raccolta del tartufo: alcuni consigli

        Il tartufo impiega all’incirca sei mesi per maturare, ed è consigliabile coglierlo solo a questo punto del ciclo vitale sia per una questione di gusto e qualità, sia perchè è solo ad avvenuta maturazione che ne inizia la fase riproduttiva che permette il mantenimento delle tartufaie. Generalmente il tubero si assesta a una profondità che va dai cinquanta ai settanta centimetri al di sotto del terreno.

        I luoghi che risultano più consoni alla vita del tartufo sono le zone boschive, in assenza di piante erbacee e con una presenza arborea inferiore al 30% del totale. Qualitativamente il terreno più adatto ha origine calcarea e risulta mediamente permeabile.

        Vi sono poi delle piante in prossimità delle quali è più probabile imbattersi nella presenza di tartufaie. In questo caso è importante distinguere tra le due qualità esistenti, ovvero il tartufo bianco e quello nero.

        Le piante simbionti caratteristiche del tartufo bianco sono il salice bianco, il tiglio, il nocciolo, la farnia, il rovere, il carpino nero, la roverella, il pioppo, il cerro e il salicone. Inoltre un terreno più fertile per questa tipologia di tartufo non è eccessivamete permeabile ma areato, ha origine calcarea, argillosa o sabbiosa e risulta povero di azoto e fosforo in favore invece del potassio.

        Il tartufo nero invece, viene rinvenuto in prossimità di cerro, nocciolo, leggio, tiglio, carpino nero, cisto e roverella. Anche in questo caso un terreno povero di fosforo e azoto risulta particolarmente favorevole alla crescita di questo tubero, mentre dal punto di vista della coposizione, il tartufo nero predilige aree calcaree ma ad alto contenuto di detriti e pietrisco, con un sottosuolo compatto.

        Ricerca del tartufo: meglio soli o accompagnati?

        Un tartufaio esperto può forse fare a meno di un fidato compagno di avventura, ma è in genere raccomandabile servirsi di un cane adeguatamente addestrato per la ricerca dei tartufi. Le razze più indicate per questo scopo sono il Lagotto Romagnolo (razza indicata specificatamente come “cane da tartufo”), il Bracco Tedesco, il Pointer e altri cani utilizzati tipicamente per la caccia e il riporto.

        In passato era diffuso anche il cosiddetto maiale da tartufo: il mammifero infatti, essendo dotato di un fiuto molto sviluppato, svolgeva perfettamente il compito di individuazione ed estrazione del tubero. Tuttavia, la foga con cui il maiale esegue lo scavo, arrivando spesso a danneggiare irreparabilmente le tartufaie, nonchè la sua ingordigia, che lo porta a ingerire gran parte dei tartufi estratti, hanno fatto sì che non venisse più considerato consono e quindi che il suo impiego venisse vietato per legge.

        Sana 2018, il cibo del futuro è bio

        L’edizione di Sana 2018 si è svolta a Bologna nei giorni dal 7 al 10 settembre. Il bilancio della trentesima edizione del Salone Internazionale del Biologico e del Benessere si è conclusa in maniera molto positiva. Il biologico sul territorio italiano è un fenomeno in crescita, che diventa anno dopo anno sempre più solido e radicato. Tantissimi gruppi agroalimentari ad oggi possiedono una propria linea di prodotti biologici da offrire ai consumatori. Le persone possono facilmente reperire alimenti e cosmetici bio non soltanto nei canali e nei negozi specializzati ma anche nella grande distribuzione.

        Nei tre giorni del Sana si sono svolti diversi meeting con professionisti del settore e sono stati trattati molti argomenti come l’importanza della tecnologia per la sostenibilità dell’ambiente, la cosmesi naturale o l’autorevolezza delle certificazioni. I numeri del mondo biologico sono in costante crescita, in Italia il bio fattura oltre 5 miliardi in un anno di cui 2 derivano dalle esportazioni. Circa l’80% degli italiani nell’ultimo anno hanno comperato prodotti bio, mentre quasi la metà li usa abitualmente. I dati in crescita riguardano anche la produzione agricola con il biologico che si conquista il 15% della SAU (Superficie Agricola Utilizzata) italiana.

        Dal Sana 2018 si può affermare che il futuro del cibo verte verso il biologico. Sono state le persone stesse a votare le caratteristiche del cibo del futuro e tra quelle principali, oltre al biologico, troviamo anche altre opzioni che lo desiderano coltivato a basso impatto ambientale, in grado di rispettare i diritti umani e anche prodotto da avanzi e scarti di tipo alimentare.

        LIPITALIA2000, a tal proposito, è un’azienda che dagli scarti alimentari ha prodotto dei mangimi per insetti, animali che possono essere utilizzati a loro volta per nutrire animali da allevamento grazie al loro alto contenuto di proteine.
        Skretting è, invece, un’azienda che si occupa della produzione di mangimi in acquacoltura. La visione di questa società afferma che allevamento e acquacoltura possono essere una soluzione al problema della pesca intensiva.
        Altri esperti del settore affermano che va data la priorità a una riduzione dell’impatto ambientale causato dagli allevamenti e va favorita una migliore gestione del suolo sia per quantità che per tipologia.

        Le aziende sono quindi sempre più propense a una tutela dei consumatori ma anche del territorio e dell’ambiente. La strada è ancora lunga e si dovranno coinvolgere non soltanto le aziende produttrici ma anche i consumatori, informandoli riguardo l’impatto ambientale che ha il ciclo di produzione e smaltimento del cibo che mangiano.
        L’esperienza e il piacere legati al cibo hanno raggiunto oggi uno sviluppo dalle tante sfaccettature ma non va sottovalutata la disponibilità degli alimenti.

        I punti fondamentali per l’alimentazione del futuro

        Durante gli incontri del Sana sono state tracciate delle linee guida che pongono le basi per l’alimentazione del futuro. Ogni cibo non può prescindere anzitutto da questi tre punti:

        essere a conoscenza dei fenomeni passati e presenti;

        individuare le problematiche legate alla produzione del cibo come lo spreco, la scarsità, il riscaldamento globale, l’inquinamento ambientale. A questi temi vanno aggiunti anche quelli che riguardano gli stili di vita e alimentari delle persone;

        riconoscere l’importanza di ciò che si sceglie ogni giorno sia per quanto riguarda la produzione che il consumo per potersi orientare nel futuro;

        Una volta definite queste nozioni imprescindibili riguardanti il cibo del futuro, sono state descritte altre quattro tematiche da affrontare riguardo l’argomento.

        Innanzitutto l’aspetto esclusivamente funzionale dell’alimentazione, fondamentale per vivere.

        L’educazione alimentare, utile e necessaria per individui consapevoli e per migliorare la salute.

        L’impatto ambientale che hanno le coltivazioni e le produzioni, un aspetto che pesa notevolmente sulle condizioni della Terra.

        Proposte, idee e interventi per combattere gli sprechi alimentari, un argomento che è sempre più sentito anche dalla gente.

        Non solo cibo

        Il biologico sempre più presente nella vita degli italiani non riguarda solo il cibo. Al Sana si parla anche di benessere, natura e cosmesi. In questa occasione si è svolto un convegno dal titolo “Dall’alimento al cosmetico biologico“. Non siamo soltanto ciò che mangiamo ma anche ciò che ci mettiamo sulla pelle. Per questo motivo è importante investire nel biologico sui prodotti di cosmesi. Eliminare prodotti chimici che, oltre a essere potenzialmente nocivi, spesso vengono prodotti con poca attenzione rispetto all’impatto ambientale.

        Export di cibo italiano in Russia in diminuzione

        L’export di cibo italiano in Russia è tutt’ora in diminuzione, si evidenzia, infatti, nel mese di maggio 2018 un calo delle esportazioni pari all’11% in confronto allo stesso periodo nell’anno passato. A tal proposito, la Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti (Coldiretti) ritiene significativa la riapertura dei dialoghi fra il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin e il Presidente degli USA Donald Trump per realizzare i presupposti che permettano di oltrepassare le sanzioni e l’embargo totale russo su numerosi alimenti stranieri. Difatti, secondo la Coldiretti le esportazioni dei prodotti agroalimentari italiani verso la Federazione Russa nel primo quadrimestre del 2018 sono diminuite dell’1,2%.

        Come se non bastasse, le conseguenti tensioni in ambito commerciale hanno reso problematiche anche le esportazioni di altre merci non colpite in maniera diretta dall’embargo e dalle contro sanzioni russe. Al riguardo, si riscontrano dei cali anche per le esportazioni italiane di merci provenienti, ad esempio, dal settore dell’abbigliamento, dell’arredamento, delle automobili e delle tecnologie, oppure per l’export di farmaci o di alimenti e bevande come l’olio, il caffè e il vino.

        In particolare, il decreto del Cremlino di Mosca del 2014, recentemente prorogato fino all’anno 2019, prevede il divieto d’ingresso e, quando necessario, il relativo sequestro dei cibi prodotti dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti d’America, dal Canada, dall’Australia e dalla Norvegia. Si tratta di prodotti come frutta, verdura, carne, pesce, insaccati e formaggi. Dunque, le spedizioni di prodotti Made in Italy verso la Russia sono state completamente cancellate con conseguenti perdite di guadagni e di immagine, danni alle operazioni commerciali, ai lavoratori, ai progetti in atto e ai rapporti economici ed anche con la circolazione sul mercato russo di prodotti agroalimentari ispirati a quelli italiani, ma di qualità ovviamente inferiore.

        A questo proposito, bisogna evidenziare che le sanzioni subite dalla Russia ad opera degli Stati Uniti d’America e dell’Unione Europea hanno indotto la Federazione Russa non solo a mettere sotto embargo diverse merci e materie prime provenienti da questi stati, ma anche a prediligere la produzione in loco di numerosi prodotti agroalimentari. Al riguardo, la produzione in loco è una scelta che è già stata abbracciata dalla Germania e verso cui si è indirizzata anche la Francia. Ne sono un esempio il Gruppo Metro Cash and Carry tedesco e la catena francese di supermercati Auchan attivi da molti anni sul territorio italiano e a livello internazionale.

        Le conseguenze delle sanzioni alla Russia

        Secondo il Direttore Pier Paolo Celeste dell’Ufficio dell’Istituto Nazionale per il Commercio Estero (ICE) presente a Mosca, ossia l’organismo per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, il perdurare delle sanzioni alla Federazione Russa e delle contro sanzioni russe come ritorsione protrae le penalizzazioni ai danni delle aziende di Export italiane. Più nello specifico, fra gli anni 2013 e 2017 si sono registrate diminuzioni importanti delle esportazioni italiane nella Federazione Russa, in particolare di ortaggi e di carni lavorate, nonché una riduzione negli ultimi 2 anni della quota di mercato dei latticini Made in Italy che ormai ha raggiunto valore zero.

        A tal riguardo, in base alle analisi effettuate sui dati rilasciati dalla dogana russa, le perdite derivanti dal calo delle esportazioni delle aziende italiane verso la Russia negli ultimi 5 anni si aggirerebbero intorno alla cifra di ben 780 milioni di euro. Dunque, le limitazioni e le sanzioni alla Russia da parte degli USA e dell’Unione Europea, soprattutto nel settore militare, petrolifero e finanziario, e le contro sanzioni russe costano alle esportazioni agroalimentari italiane perdite pari a circa il 28% ed un peggioramento degli scambi commerciali fra l’UE e la Russia.

        Precisamente, si è passati dalla cifra di 1.069 milioni di euro per le esportazioni italiane effettuate prima del 2013 ai 768 milioni di euro attuali per l’export di cibo italiano in Russia, con una differenza di ben 301 milioni di euro. Per concludere, è opportuno sottolineare che la riduzione dell’export di cibo italiano in Russia negli ultimi anni è dovuta anche alla diminuzione della possibilità per il popolo russo di spendere denaro sia per la crisi economica da cui si stanno riprendendo che per la svalutazione della valuta russa, ossia il rublo.

        L’agroalimentare italiano è molto competitivo

        Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) ha pubblicato il “Rapporto sulla competitività dell’agroalimentare italiano“, il quale presenta conferme e sorprese. La conferma è che il settore agroalimentare continua ad essere trainante rispetto all’economia nazionale; la sorpresa è che ci riesca nonostante le moltissime difficoltà che si incontrano nel lavoro quotidiano.

        L’attività di chi opera nell’agroalimentare si deve confrontare con una burocrazia elefantiaca, con un sistema produttivo spesso incapace di fare fronte alla domanda e di utilizzare in modo adeguato i finanziamenti europei. Nonostante tutto questo i numeri parlano chiaro: l’Italia da sola detiene l’8% delle quote sulle esportazioni all’interno dell’Unione Europea, con un valore calcolato a dicembre 2017 di 41 miliardi di euro. Quindi è l’export che fa la parte del leone, per quanto anche il mercato interno lanci molti segnali positivi.

        I prodotti che vengono maggiormente venduti all’estero sono mele, uva, kiwi e nocciole per quanto riguarda i prodotti primari; pasta, passata di pomodoro, olio e vino per quanto riguarda i prodotti lavorati. Ma, come dicevamo, non è solo l’export il fiore all’occhiello, perché se i prodotti agroalimentari sono amati all’estero, non di meno sono molto richiesti sul mercato interno.

        Se il valore complessivo della produzione è di 60,4 miliardi di euro, in realtà l’effettivo volume di affari che gira intorno al comparto è di ben 214 miliardi di euro. Questa cifra si raggiunge se si considera anche il settore della ristorazione. Il consumo interno in Italia è notevolmente cresciuto nel 2017: sono stati spesi ben 160 miliardi di euro in prodotti alimentari, a testimonianza che l’attenzione posta alla buona cucina non è affatto scemata con il tempo. La crescita rispetto al 2016 è stata di oltre tre punti percentuali, e i primi dati raccolti per il 2018 testimoniano come il trend positivo stia continuando.

        L’ortofrutta è in cima alle classifiche di spesa, seguita da carne e formaggio e solo in ultima istanza dalla pasta (singolarmente). Tutto rose e fiori, dunque? Purtroppo no, perché il report Ismea porta alla luce anche l’altro lato della medaglia: di tutto questo benessere purtroppo i produttori primari non beneficiano che in minima parte.

        Il documento infatti dice che, su 100 euro di spesa del consumatore finale, al produttore non fanno che 6 euro, quindi una parte davvero infinitesimale per chi, di fatto, svolge il lavoro maggiore. Questo se si parla dei prodotti primari: per quelli trasformati all’agricoltore non restano che 2 euro su 100. A prendere la fetta maggiore dei guadagni sono la distribuzione e la logistica.

        Questo è un aspetto da prendere in seria considerazione: se infatti non si cambierà la politica del settore si potrebbe finire per danneggiare un comparto che i dati confermano essere tra i più floridi per il nostro Paese. Lo è anche dal punto di vista occupazionale: oltre un milione di persone ha lavorato nell’ambito agroalimentare nel 2017. Ciò non toglie che vi sia comunque un calo nel numero degli occupati del settore, ma meno sensibile di quanto non sia accaduto in altri Paesi europei. Questo perché la vocazione italiana alla produzione agroalimentare è molto forte, ed è per questo di fondamentale importanza che essa sia resa sostenibile per tutti i soggetti della filiera anche attraverso il varo di norme che aiutino l’agricoltura, abbattendo i costi e aumentando i guadagni.

        Il cibo italiano è da difendere

        Il 2018 è l’anno internazionale del cibo italiano, da sempre fiore all’occhiello del nostro Paese. Un’occasione per generare conoscenza del buon cibo tricolore e per rendere i turisti stranieri “ambasciatori del cibo italiano nel mondo”, per usare le parole del presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo. Nel Belpaese, l’intero sistema agroalimentare genera più di 274 miliardi di euro all’anno, con un peso del 17% sul PIL.
        Cibo, ambiente e cultura sono le maggiori leve di attrazione turistica per il 54% degli italiani, mentre per due stranieri su tre la buona tavola costituisce la principale motivazione del viaggio.
        Un’alleanza, quella tra turismo e alimentazione, che quest’anno ha la possibilità di essere ulteriormente valorizzata grazie ai Mercati di Campagna Amica, un progetto volto a creare una rete agroalimentare dove si ha la garanzia che i prodotti ortofrutticoli venduti sono italiani e rigorosamente a km zero.

        La rete nazionale di aziende agricole e agrituristiche si pone anche l’obiettivo di difendere il nostro patrimonio agroalimentare dalla piaga della contraffazione. Il finto made in Italy, cioè i cibi che compriamo pensando che provengano dalla nostra terra e che arrivano invece da altri Paesi, sottrae 60 miliardi di euro all’economia nostrana, a fronte di un export alimentare italiano di 40 miliardi. Ogni giorno rischiano di finire nel nostro piatto importazioni di bassa qualità, che spesso risultano piene di diossine e sostanze tossiche. La richiesta di Coldiretti è quella di lanciare sportelli anticontraffazione nelle ambasciate dei singoli Paesi e soprattutto di estendere l’obbligo di indicare l’origine in etichetta a tutti gli alimenti. Un’etichetta trasparente che contenga non solo il luogo di confezionamento, ma anche l’origine delle materie prime, potrebbe davvero bloccare le imitazioni e le falsificazioni che danneggiano la nostra economia, oltre a tutelare la salute dei consumatori.

        La cucina italiana è convivialità, piacere di preparare insieme un pasto e di condividerlo stando allo stesso tavolo, come sottolinea l’antropologo napoletano Marino Niola. È importante difendere queste tradizioni e impedire che vengano soppiantate da nuovi trend, come quello del pranzo in solitaria, tanto diffuso all’estero. Il “mangiare insieme” è un modus vivendi capace di promuovere l’interazione sociale e di tramandare l’identità della comunità, come sottolineato dal Comitato dell’Unesco in sede di proclamazione delle pratiche alimentari, sociali e culturali della dieta mediterranea come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.f

        Secondo la Fao, la cucina italiana è il cibo del futuro. Il nostro stile alimentare è salubre e alla portata di tutti, in una parola “democratico”. I suoi ingredienti cardine sono i prodotti dell’orto, i cereali, il pesce, l’olio d’oliva, i legumi, i latticini, piccole quantità di carne e un moderato consumo di vino, tutti cibi generalmente poco costosi e che hanno un basso impatto sul territorio. Ecco perché la cucina italiana è oggi assurta a simbolo di alimentazione sostenibile e strumento per la tutela della biodiversità.

        Nell’anno che celebra il cibo italiano nel mondo, i numeri del settore agroalimentare sono in linea con l’importante investitura. Il settore ha dimostrato negli ultimi anni grande vitalità e il trend positivo è continuato anche nei primi mesi del 2018. Il 2017 ha segnato la ripresa del comparto, che ha registrato un fatturato di 137 miliardi di euro, mostrando una crescita del 3,8%. A giocare un ruolo da protagonista sono state soprattutto le esportazioni, il cui valore si è attestato intorno ai 32,1 miliardi di euro, il 7% in più rispetto all’anno precedente. I 2/3 dei prodotti sono destinati al mercato europeo, ma rimane sostenuta anche la crescita in Nord America e in Asia. L’export è quindi sempre più strategico, con formaggi, salumi, dolciario e spumanti tra i prodotti più performanti.

        L’anno internazionale del cibo italiano, nato da una collaborazione dei Ministeri delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e dei Beni Culturali e del Turismo, è un’occasione per difendere e rendere giustizia all’immenso patrimonio enogastronomico tricolore attraverso eventi dedicati alla celebrazione dei piatti tipici delle varie zone d’Italia e l’implementazione di itinerari di offerta turistica legati alla cucina italiana.
        Dedicare il 2018 al cibo italiano significa quindi promuovere gli aspetti culturali e naturali del territorio, valorizzando il lavoro di agricoltori, allevatori, pescatori e produttori alimentari e, infine, facendo conoscere ai turisti italiani e stranieri i luoghi legati alla produzione agroalimentare del Belpaese.

        La cucina italiana conquista il sud est asiatico

        Che la cucina italiana sia rinomata in tutto il mondo e i suoi prodotti vengano esportati in qualunque parte del globo non è una novità, eppure nessuno si sarebbe aspettato che fossero in grado di riscuotere così tanto successo anche in Paesi con culture e tradizioni alimentari totalmente diverse dalla nostra. Da qualche anno a questa parte infatti, tra i nuovi mercati esteri che si sono aperti all’importazione di prodotti italiani ci sono anche quelli del sud-est asiatico, area non estranea ai tanti ristoratori internazionali che già da tempo avevano deciso di investire nel mercato asiatico riconoscendone pregi e potenzialità.

        Quando si parla di cucina italiana all’estero molti ristoratori del Bel Paese hanno la presunzione di pensare che se un loro collega ha deciso di investire soldi e competenza al di fuori del territorio nazionale è solo perché in Italia la sua cucina non sarebbe stata in grado di competere con quella degli altri, e così l’estero viene visto come una sorta di contenitore in grado di accogliere tutti quei ristoratori che non ce l’avrebbero fatta in patria. Nulla di più sbagliato! Oggi non è più possibile “infinocchiare” gli stranieri presentando qualche piatto tipico italiano cucinato in maniera mediocre. Quando si parla di alta cucina italiana questa è facilmente riconoscibile sia dentro che fuori i confini nazionali, dove i palati sono diventati sempre più esigenti e oramai decidere di aprire un ristorante all’estero vuol dire accettare la sfida di una competizione agguerrita, proprio come accade nel sud-est asiatico, centro nevralgico dell’alta cucina internazionale.

        In Asia la clientela è colta, curiosa, aperta a nuove esperienze gastronomiche e spietata nei giudizi quando è il caso, qui più che in altri posti il successo di un ristorante va di pari passo con il concetto di meritocrazia. Seppure l’esordio, più di trenta anni fa, della cucina tricolore nel sud-est asiatico non sia stato semplice, oggi la cucina italiana sembra aver conquistato completamente il pubblico asiatico, grazie a ristoranti di altissima qualità. Nonostante le differenti culture e tradizioni, anche in ambito culinario, c’è qualcosa che accomuna gli asiatici agli italiani, considerare il cibo una religione e il pranzo o la cena un vero e proprio momento di culto della buona cucina, forse anche per questo gli asiatici sono famosi per essere tra gli intenditori più intransigenti al mondo.

        Insomma, oggi aprire un ristorante italiano nel sud est-asiatico sembra essere diventato uno dei principali hobby, dai piccoli bistrot a locali estremamente moderni in cui la cucina tipica italiana si mescola a quella locale esaltandone i prodotti. Tra i ristoranti più famosi a Singapore che tengono alta la bandiera del made in Italy, troviamo:
        il Garibaldi, ristorante italiano di Roberto Galletti che offre una cucina tipicamente tradizionale accompagnata da una collezione di vini di tutto rispetto, una vera e propria punta di diamante dell’enogastronomia italiana nel mondo;
        Buona Terra, aperto solo 6 anni fa, ma in pochissimo tempo è riuscito ad equilibrare perfettamente i tre ingredienti fondamentali per un ristorante di successo: estrema attenzione nella ricerca delle materie prime, cura certosina nella preparazione dei piatti e degli abbinamenti, una lista di vini italiani di ottima qualità e difficilmente trovabili nell’isola asiatica sud-orientale.
        Se da Singapore ci si sposta a Bangkok tra i migliori ristoranti italiani troviamo:
        Da Gianni, divenuto ormai un’istituzione e che da oltre vent’anni propone una cucina tipicamente italiana utilizzando esclusivamente prodotti e vini provenienti dal Bel Paese;
        la Bottega di Luca, un tipico ristorante tricolore che si distingue per un’atmosfera familiare nella quale poter degustare piatti della tradizione culinaria italiana ma completamente rivisitati per una cucina innovativa e dai sapori rustici e genuini.
        Le prossime aperture? Sicuramente seguiranno l’andamento generale: scelta di vini italiani artigianali e di alta qualità, selezione delle migliori materie prime autoctone italiane ed estremo interesse verso prodotti naturali e biologici.