Verso il Natale 2016: i dolci tipici siciliani

 

Cari amici di CDA Market, in questa nuova tappa del nostro viaggio Verso il Natale 2016 vogliamo farvi conoscere alcuni prodotti tipici regionali della Sicilia, la maggiore delle isole italiane, ricca di storia, arte, cultura e tradizioni, oltre che di gustose specialità gastronomiche, soprattutto dolci.

 I prodotti che vogliamo descrivervi sono sicuramente molto meno conosciuti di altri, come per esempio la cassata o i cannoli con la ricotta e i canditi, ma sicuramente più adatti per essere inseriti in un cesto natalizio.

I dolci di Natale tipici della Sicilia

La prima specialità regionale di cui vogliamo parlarvi è il Buccellato (in siciliano cucciddatu), un dolce a forma di ciambella, esclusivamente tipico dell’isola, tanto da essere persino inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani.

Il buccellato è una pasta frolla ripiena, il cui contenuto può variare leggermente da una zona all’altra della Sicilia. Il ripieno più diffuso e più tradizionale prevede l’uso di fichi secchi, uvette, mandorle e scorzette d’arancia candite. Il dolce viene poi servito ricoperto da una glassa di zucchero o semplicemente spolverato di zucchero a velo.

C’è poi la Cuccia di Santa Lucia che, come suggerito dal nome stesso, è un dolce che viene preparato in prossimità della ricorrenza della celebre santa a cui i siciliani sono molto devoti, il giorno esatto è il 13 dicembre, i in pieno periodo pre-natalizio.

La cuccia è preparata con grano cotto, ricotta di pecora, frutta candita, zucchero e cioccolato fondente. La sua realizzazione è parecchio lunga e laboriosa: si comincia addirittura tre giorni prima a mettere a bagno il frumento previsto dalla ricetta, che poi andrà cotto a fuoco lento per circa 8 ore ed infine mescolato agli altri ingredienti. La guarnizione finale è a base di granella di pistacchi di Bronte.

Proseguiamo la nostra rassegna con i dolci tipici del Natale in Sicilia con la Cobaita o Torrone di Modica (detta in dialetto gigghiulena).  Si tartta di una specialità di origine turca che è stata portata in Sicilia all’epoca della dominazione araba dell’isola.

 La cobaita viene preparata in prossimità delle feste natalizie ed è molto simile al croccante ma si compone di miele e tantissimi semi di sesamo con l’aggiunta di alcune mandorle intere.

Chiudiamo infine con i Nucatoli (chiamati anche nacatuli, nucatali o nucatili, a seconda delle diverse zone della Sicilia). I nucatoli sono dei biscotti ripieni dalla caratteristica forma a S. L’impasto è fatto con farina, strutto, zucchero e uva, mentre per il ripieno, diverso a seconda delle diverse zone dell’isola, vengono utilizzati soprattutto miele, mandorle e scorza d’arancia grattuggiata.

La nostra rassegna dedicata ai dolci siciliani tipicamente natalizi si conclude qui. Alla prossima settimana con un nuovo appuntamento di Verso il Natale 2016 per preparare insieme un cesto natalizio con i fiocchi.

Verso il Natale 2016: la mostarda

Il Natale 2016 si avvicina sempre di più ed è già tempo di iniziare a pensare ai prodotti gastronomici che andranno a comporre i cesti delle feste natalizie.

Le opzioni per regalare tanti prodotti tipici della nostra tradizione non mancano certo e un bel cesto di Natale, ricco di specialità della cucina tipica italiana, riuscirà senza dubbio a rendere unica l’atmosfera delle feste.

Classici come le lenticchie, la pasta, il cotechino, il pandoro e il panettone sono tra le opzioni più gettonate quando si vuole creare un bel regalo natalizio, ma non va sottovalutata una pietanza dal gusto incredibile e molto particolare. Stiamo parlando della mostarda, una salsa dal gusto piccante, perfetta per accompagnare le carni e soprattutto bollite.

La storia della mostarda

La mostarda ha origini piuttosto antiche, legate all’Italia settentrionale e soprattutto alla Pianura Padana. La mostarda avrebbe cominciato a fare la sua comparsa sul territorio italiano a inizio del seicento in città come Cremona, Piacenza e soprattutto Mantova, località celebre in tutto il bel Paese per la sua mostarda di mele Campanine e senape.

Già il famoso poeta modenese Alessandro Tassoni faceva riferimento alla mostarda nella Secchia Rapita, la sua opera più famosa, nel 1621, quando parlava di “cupelle di mostarda isquisitissime”.

La mostarda non è però originaria dell’Italia ma compare per la prima volta in uno scritto francese del 1288, con il termine moutarde. Questo prodotto consentiva la conservazione della frutta utilizzando il mosto di vino piccante, a cui erano stati aggiunti dei semi di senape.

mostarda-francese

 Mostarda o senape?

Proprio questo aspetto ha portato a una serie di incomprensioni quando si parla di mostarda in Italia e in Francia. Nel bel Paese il termine mostarda viene utilizzato per indicare una composta di frutta, zucchero ed essenza di senape, dal sapore piccante e molto forte. L’abbinamento perfetto è con le carni come il bollito o l’arrosto, dato che la mostarda è ottima come accompagnamento a pietanze dal gusto delicato.

In Francia invece la moutarde è ciò che noi conosciamo come senape, dunque una salsa che ha una preparazione, un colore e una storia totalmente differente dalla mostarda nostrana. Il motivo di tale incomprensione deriva probabilmente dall’origine comune dei due condimenti, dato che tanto la mostarda italiana quanto la moutarde francese sono preparate con i semi della pianta di senape.

I diversi tipi di mostarda italiana

Come abbiamo detto la mostarda è una specialità tipica soprattutto delle zone che si trovano nel Nord Italia e a seconda delle città di provenienza  viene preparata in modo differente.  A Mantova la mostarda si compone di: mele cotogne, pere e altra frutta a pezzi interi e viene utilizzata soprattutto per riempire i classici tortelli di zucca. Nella vicina Cremona invece la mostarda è composta da un insieme di frutta candita, come ciliegie, mandarini, fichi, albicocche e molti altri, con l’aggiunta di semi di senape.

Sebbene questa salsa sia stata introdotta nel bel Paese nel nord, ciò non significa che non si sia poi diffusa in tutta Italia. In Calabria e in Sicilia vengono infatti preparate due saporite varianti della mostarda, sempre a base di frutta e perfette per accompagnare gli arrosti delle festività natalizie.

In Calabria la mostarda si prepara a partire dal mosto d’uva, a cui vengono successivamente aggiunti cioccolata e farina, mentre in Sicilia è realizzata con mosto cotto a cui si uniscono successivamente aromi e farina di grano duro.

Chi vuole fare un bel regalo ai propri amici non può mancare di mettere nel cestino natalizio un bel barattolo di mostarda, ancora meglio se di un marchio come Fieschi, Dondi e Sperlari, che certifica l’assoluta qualità del prodotto.

 Alla prossima settimana con un nuovo appuntamento di “Verso il Natale 2016”!

Verso il Natale 2016: la pasta fresca

Cari amici di CDA eccoci con un nuovo appuntamento dedicato a Verso il Natale 2016, alla scoperta delle specialità gastronomiche che non possono mai mancare in un cesto delle feste.

Sono diverse i prodotti alimentari, ideali per comporre un cesto natalizio, che vi abbiamo già presentato (pandoro, panettone, torrone, lenticchie, cotechino) ma non possiamo certo dimenticare la regina delle nostre tavole, l’alimento che ci accompagna giorno per giorno, per tutto l’anno e che, in vista del Natale e del Capodanno può trovare una dimensione nuova, più elaborata e più adatta al menù delle feste. Parliamo naturalmente della pasta fresca, semplice o ripiena, condita con sughi magari un po’ più elaborati del normale.

La storia della pasta fresca

La pasta fresca, intesa come impasto di acqua e farina o semola suddiviso in forme regolari, ha origini antichissime e diversificate. Era presente già in epoche remote, un po’ in tutte le culture, dall’estremo oriente fino all’area mediterranea, ma è nella penisola italica che ha avuto maggior diffusione e sviluppo, tanto da diventare il piatto nazionale del nostro Paese, conosciuto ed esportato in tutto il mondo.

Solo nel medioevo è stato introdotto il metodo di cottura tramite bollitura in acqua, prima di allora infatti le “lagane” (l’antico nome delle lasagne) venivano cotte al forno. Sono nate così le paste forate (maccheroni, bucatini, penne), le paste ripiene (tortellini, ravioli, agnolotti) e, soprattutto nel nord Italia, la pasta fresca all’uovo, tutti formati che ci hanno accompagnato attraverso la storia e che sono arrivati, praticamente invariati, fino ai giorni nostri.

La ricetta tipica della pasta fresca

Il procedimento di preparazione della pasta fresca è molto semplice e gli ingredienti necessari sono davvero pochi:

  • farina di grano duro o semola
  • acqua
  • sale
  • eventualmente uova.

Gli ingredienti vanno lavorati sulla spianatoia, partendo dalla farina disposta “a fontana” e aggiungendo i liquidi un po’ alla volta, oppure con una macchina impastatrice.

L’impasto deve risultare omogeneo e sufficientemente elastico da poter essere steso, col mattarello o con l’apposita macchina, in una sfoglia abbastanza sottile. Questa verrà poi tagliata nel formato desiderato o utilizzata per contenere un ripieno che varia, da nord a sud, a seconda delle tradizioni regionali e che può essere fatto con carne, pesce, ricotta, spinaci, bietole, prosciutto, zucca, e tanto altro.

Diverso sarà ovviamente anche il condimento, che andrà abbinato al formato di pasta e all’eventuale ripieno (burro versato, ragù di carne o di verdure, salsa di funghi, pomodoro e basilico, pesto, le possibilità e gli abbinamenti sono praticamente infiniti e la pasta fresca, asciutta o in brodo sarà sicuramente un successo.

Perché un buon piatto di pasta, magari accompagnato da un ottimo vino, mette d’accordo tutta la famiglia e rende più piacevole la convivialità. E l’atmosfera delle feste sarà indimenticabile.

 

Verso il Natale 2016: le lenticchie

Cari amici di CDA continua il nostro percorso “Verso il Natale 2016” alla scoperta delle specialità enogastronomiche per un perfetto cesto delle feste e, dopo avervi parlato del cotechino, non potevamo far altro che presentare il suo accompagnamento ideale: le lenticchie.

Le origini delle lenticchie

Considerate in passato come “il cibo dei poveri”, le lenticchie hanno origini antichissime che risalgono al 7.000 a.C, periodo nel quale hanno fatto la loro prima comparsa in Asia, mentre alcune testimonianze sul loro impiego in cucina si trovano nella Bibbia e nei racconti degli antichi greci e romani.

Questo tipo di legume era poi consumato in grandi quantità anche durante il medioevo e più in generale durante i periodi di carestia, proprio grazie al suo costo esiguo e alle sue elevate qualità proteiche.

Durante il Natale, e soprattutto in occasione dell’ultimo dell’anno, le lenticchie vengono consumate come buon auspicio e simbolo di fortuna per il futuro. Tale tradizione deriva dall’antica usanza di regalare un sacchetto pieno di lenticchie con l’augurio che si trasformassero in soldi.

Le principali varietà

Le lenticchie sono un prodotto alimentare famoso e consumato in tutto il mondo. In Italia ne esistono diverse varietà ma la più pregiata è quella di Castelluccio di Norcia, piccola e morbida, che ha ottenuto il riconoscimento IGP.

Esistono tuttavia molte altre varianti come: la Lenticchia di Colfiorito, la Lenticchia verde di Altamura, la Lenticchia rossa egiziana, la Lenticchia di Villalba, la Lenticchia di Ustica e la Lenticchia di Armuna, per citarne solo alcune delle più note e apprezzate.

Proprietà nutritive e tipologie di cottura

Come dicevamo le lenticchie sono sempre state considerate come il piatto dei poveri ma tuttavia presentano moltissime proprietà nutritive. Ricche di proteine, carboidrati, oli vegetali, ferro, fosforo, vitamina B e PP; aiutano a prevenire l’arteriosclerosi e hanno proprietà antiossidanti.

Le due varianti più distribuite sul mercato sono le lenticchie secche, da consumarsi previa cottura, e le lenticchie in scatola, già pronte per essere consumate.

Verso il Natale 2016: il Cotechino di Modena

Cari amici di CDA continua il nostro appuntamento con “Verso il Natale 2016” con tutti i prodotti enogastronomici che compongono un cesto natalizio che si rispetti.

Lasciamo, almeno per il momento, i dolci delle feste per dedicarci a uno degli alimenti che più di tutti è sinonimo del Natale, ma anche del Capodanno: il Cotechino di Modena, uno dei prodotti di eccellenza della salumeria italiana, contraddistinto dal riconoscimento I.G.P. (indicazione geografica protetta) nella sezione dedicata alle preparazioni a base di carni.

Il cotechino non fa ingrassare

A differenza di quanto si possa pensare il Cotechino di Modena non è un prodotto alimentare che fa ingrassare. Un etto di cotechino infatti produce un apporto calorico di 250 calorie, meno di quelle che assumiamo mangiando un piatto di pasta scondito.

Stando alle analisi dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli alimenti e la Nutrizione (INRAN) il Cotechino di Modena presenta una grande quantità di proteine nobili, una maggiore quantità di grassi insaturi ( meno dannosi di quelli saturi), perde parte del grasso durante la cottura ed è ricco di vitamina B e minerali, elementi che fanno bene all’organismo.

 La storia del Cotechino di Modena

Consumato in grandi quantità durante le feste, e in modo particolare accompagnato da lenticchie porta fortuna, per festeggiare l’inizio di un nuovo anno, il Cotechino di Modena (insieme allo zampone) ha origini antichissime che risalgono a più di 500 anni fa.

E’ grazie all’ingegno degli abitanti del piccolo borgo di Mirandola che oggi possiamo apprezzare uno degli insaccati più gustosi della tradizione italiana; proprio qui, per evitare che le truppe di Papa Giulio II facessero razzia dei maiali, i cittadini decisero di macellare gli esemplari presenti e insaccarne le carni nella cotenna e nelle zampe.

Nei primi anni del ‘700 il Cotechino di Modena conosce la sua massima diffusione, arrivando a sostituirsi per fama alla celebre salsiccia gialla. I primi produttori su larga scala sono invece le botteghe di salumeria Frigerio e Bellentani.

Per la sua tradizione secolare questo salume è considerato l’antenato dei più pregiati insaccati italiani, apprezzato anche nel Ducato di Milano e citato dal compositore Rossini che, in una lettera indirizzata ai uno dei primi produttori di cotechino, Bellentani, scriveva così: “Vorrei quattro zamponi e quattro cotechini di Modena, il tutto della più delicata qualità”.

Impasto per cotechino Come viene realizzato il Cotechino

Come prima cosa vediamo quali sono le caratteristiche del tipico insaccato modenese: il Cotechino di Modena è composto da un impasto di carne di maiale magra con l’aggiunta di grasso e cotenna di suino più sale, pepe e altre spezie, il tutto contenuto in un budello di maiale che può essere sia naturale che artificiale.

Il primo fondamentale passaggio che caratterizza la realizzazione del Cotechino di Modena è la macinatura della carne che avviene in appositi tritacarne con fori di 7-10 mm per la parte muscolare e grassa e 3-5 mm per quanto riguarda la cotenna del maiale.

L’impasto ottenuto, dopo essere stato sgrassato con macchinari a pressione atmosferica, viene insaccato negli appositi budelli che, a differenza dello zampone, possono essere sia naturali che artificiali.

Infine va precisato che esiste un’ulteriore lavorazione a seconda che il cotechino sia fresco o precotto. Nel primo caso l’impasto viene fatto asciugare in una stufa ad aria calda mentre nel secondo caso viene fatto bollire in autoclave ad una temperatura di 115 gradi centigradi e confezionato in buste ermetiche per poter essere distribuito sul mercato.

Grana Padano e Parmigiano Reggiano: differenze e affinità

Cari amici di CDA interrompiamo il nostro viaggio “Verso il Natale 2016”, con i prodotti tipici per un perfetto cesto natalizio, per dedicarci ai due dei prodotti alimentari italiani più noti e apprezzati da tutti gli amanti del formaggio: il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano, entrambi D.O.P.

Per certi aspetti molto simili i due formaggi simbolo della produzione casearia del nostro Paese presentano tuttavia caratteristiche ben precise che li contraddistinguono e li differenziano.

Vediamo allora quali sono le differenze e i punti in comune tra il Grano Padano e il Parmigiano Reggiano:

Differenze e affinità

  • TERRITORIO DI PRODUZIONE: il Grana Padano, come suggerito dal nome, è un prodotto alimentare tipico della valle padana che viene però prodotto in diverse regioni del territorio italiano: Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Veneto ed Emilia Romagna. Il Parmigiano Reggiano invece è un formaggio realizzato esclusivamente in Emilia: a Modena, Reggio Emilia, Parma e Bologna, ad eccezione della provincia lombarda di Mantova.
  • MATURAZIONE E STAGIONATURA: il processo di stagionatura del Grana Padano dura tra i 9 e i 16 mesi fino ad un massimo di 20 mesi, in quel caso stiamo parlando di un Grana Padano Riserva. La maturazione del Parmigiano Reggiano ha invece una durata minima di 12 mesi, periodo dopo il quale il formaggio è definito Export ed Extra; solo dopo una stagionatura di 18 mesi il Parmigiano può essere definito Scelto Sperlato e per ottenere il marchio DOP deve essere sottoposto al processo di espertizzazione per verificarne la corretta forma.
  • ORIGINE, FORMA E DIMENSIONE: sia il Grana Padano che il Parmigiano Reggiano sono prodotti con latte di vacca. Anche la forma, cilindrica, è molto simile e le due facce piane di entrambe i formaggi presentano un diametro dai 35 ai 45 centimetri. A variare invece sono l’altezza e il peso: rispettivamente di 18-25 centimetri e 20-40 chili per il Grana Padano e 20-26 centimetri e minimo 30 chili per il Parmigiano Reggiano.
  • TRATTI DISTINTIVI: anche per quanto riguarda le caratteristiche il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano sono davvero molto simili. In entrambe i casi stiamo parlando di formaggi semigrassi e dalla lunga stagionatura. Sia il Grana Padano che il Parmigiano Reggiano si caratterizzano per una crosta dura e liscia di tonalità giallo paglierino ed entrambe presentano una pasta dura, friabile e granulosa di colore bianco e paglierino.
  • PRODUZIONE E LAVORAZIONE: il Grana Padano è prodotto con latte crudo munto in due momenti differenti, le due diverse derrate di latte possono essere entrambe parzialmente scremate oppure una scremata e l’altra no. Il latte viene poi inoculato tramite sieroinnesto per ottenere la cagliata naturale, grazie all’aggiunta di caglio di vitello in polvere, cagliata che viene tagliata in piccole parti e cotta in forno ad una temperatura di massimo 56 gradi. L’estrazione dal forno avviene tramite teli di lino e le forme ottenute vengono poi fatte riposare e salate in salamoia. Anche il Parmigiano Reggiano è prodotto con latte crudo munto in due differenti momenti della giornata (mattina e sera) ma a differenza del Grana Padano solo una derrata di latte può essere scremata. Anche in questo caso il latte viene inoculato con sieroinnesto e addizionato con caglio di vitello in polvere; a variare è invece la temperatura di cottura della cagliata in forno che in questo caso è di 54 gradi. La pasta ottenuta dalla cottura viene estratta con un telo di lino e tagliata e le forme vengono fatte e salare in salamoia.

Ecco un quadro generale delle più importanti differenze e affinità tra Grana Padano e Parmigiano Reggiano. Per scegliere il vostro preferito non vi resta da far altro che assaggiarli entrambe.

Verso il Natale 2016: il cioccolato

Continua il nostro viaggio “Verso il Natale 2016” alla scoperta dei prodotti enogastronomici perfetti per un cesto natalizio adatto a soddisfare tutti i gusti. Dopo avervi parlato di due dei dolci più tipici della tradizione delle feste, il panettone e il pandoro, e avervi presentato una delle prelibatezze più diffuse in tutta Italia, il torrone, vogliamo continuare all’insegna dei dolci sapori con il cioccolato.

Il cioccolato per noi italiani (e non solo) è una vera e propria passione, da gustare in ogni momento dell’anno e ovviamente anche a Natale. Di diverse forme, gusti e colori, dal cioccolato al latte, al cioccolato fondente, fino cioccolato bianco, questa leccornia fatta di zucchero, burro di cacao e latte non può di certo mancare in un cesto di natale che si rispetti.

Cioccolato per tutti i gusti

Molti sono i marchi, Italiani e non che da sempre sono sinonimo di eccellenza e qualità elevata nella produzione di cioccolato. Vediamo alcuni dei grandi produttori a cui potete rivolgervi se siete in cerca del cioccolatino perfetto per le feste.

  • Lindt: la tradizione di questo pilastro del cioccolato nasce nel lontano 1879 grazie alla passione Rodolphe Lindt, un pasticcere amante della bella vita e di tutti i suoi piaceri, primo fra tutti il cioccolato che a quel tempo era “duro da lavorare e duro da mangiare”. Da qui il suo desiderio di cerare un cioccolato morbido e finissimo, ottenuto tramite una lavorazione che dura per diversi giorni, attraverso il processo del concaggio che dona al cioccolato una “irresistibile scioglievolezza”, proprio come recita la classica pubblicità della Lindt. Molte sono le qualità di cioccolato del noto marchio svizzero, come le tavolette Lindor Latte, Lindor Extra Fondente e Lindor Fondente e la tavoletta Lindor Bianco, oppure i classici cioccolatini dal cuore morbido in varietà assortite da comporre a vostro piacere, tra cui spiccano quelli al latte, al cioccolato bianco, fondente e gianduia.
  • Ferrero: un marchio rigorosamente italiano, notto nel nostro Paese e non solo per i suoi cioccolatini ma più in generale per tutti i suoi prodotti dolciari, è Ferrero, azienda fondata nel 1946 da Pietro Ferrero ad Alba in Piemonte e riconosciuta nel 2009 dal Reputation Institute come il marchio più affidabile con la migliore reputazione a livello mondiale. Fermandoci esclusivamente alla produzione dei cioccolatini da inserire nel nostro cesto di Natale troviamo i tanto amanti Ferreo Rocher, lanciati sul mercato nel 1982, e realizzati con cioccolato, wafer e nocciole racchiusi in un guscio sottile e friabile. Per chi invece preferisce una nota alcolica abbiamo i Mon Cheri, caratterizzati da una croccante copertura di cioccolato fondente e ripieni di liquore e ciliegie. Abbiamo poi Raffaello con una copertura di scaglie di cocco e wafer e un ripieno di di crema e mandorle intere, e i Pocket Coffee, fatti di cioccolato e caffè 100% arabica.
  • Perugina (Nestlè): altro marchio storico del panorama dolciario italiano è Perugina che, come suggerisce il nome stesso, è stata fondata a Perugia nel 1907 e oggi fa parte del gruppo svizzero Nestlè. Il suo cioccolatino più noto e apprezzato è sicuramente il Bacio Perugina, tradizionalmente accompagnato da un messaggio romantico, ideale come regalo di San Valentino ma anche come prodotto da inserire in un tradizionale cesto natalizio. Diverse sono le proposte e le varianti come: il Bacio Perugina al Latte dalla carta azzurra, ricoperto di cioccolato al latte con all’interno una nocciola intera, crema al gianduia e granella di nocciole; il Bacio Perugina Bianco dalla carta blue, ricoperto da cioccolato bianco all’aroma di vaniglia; il Bacio Fondentissimo al 70% dalla carta nera, ricoperto da cioccolato fondente e semi di cacao. Abbiamo infine i Bacetti Perugina con la carta argento, un piccolo e dolce pensiero.

I marchi di cioccolatini da inserire in un cesto di Natale perfetto sono sicuramente molti altri, questo è solo un dolce assaggio. Alla prossima settimana con un nuovo appuntamento “Verso il Natale 2016”.

Verso il Natale 2016: il torrone

Continua il nostro cammino “Verso il Natale 2016” con tutti i prodotti alimentari che non possono assolutamente mancare in un perfetto cesto natalizio. Dopo avervi presentato il panettone e il pandoro è la volta di un altro dolce molto amato in tutta Italia: il torrone.

Fortemente legato al Natale, il torrone è un prodotto tipico di molte regioni del nostro Paese, realizzato con l’albume dell’uovo, il miele e lo zucchero, arricchito con mandorle tostate, noci, nocciole, anacardi e, a volte, frutta candita, ricoperto da due starti di ostia.

Esistono due diverse tipologie di torrone che si differenziano principalmente per la cottura dell’impasto. Il torrone duro o friabile con una cottura molto lunga che può durare anche 12 ore e il torrone tenero la cui cottura non deve mai superare le due ore per lasciare all’impasto la giusta umidità.

Come il pandoro anche il torrone è riconosciuto dal P.A.T (prodotti agroalimentari tradizionali italiani) nella sezione dedicata alle paste fresche e ai prodotti della panetteria, della biscotteria, della pasticceria e della confetteria italiana.

 La storia del torrone

Il torrone ha origini antichissime e controverse ma la maggior parte degli studiosi ritiene che si tratti di un dolce di origine araba, conosciuto con il nome di cubaita o giuggiolena e realizzato con miele e sesamo, che si e diffuso in Italia e in Spagna grazie alle rotte commerciali dei popoli d’oriente sul Mediterraneo.

In Spagna l’origine del torrone è legata alla città di Alicante, dove le prime trecce sono del XVI secolo. Qui troviamo il torrone di Jijona che si compone di mandorle tritate e miele unite ad albume d’uovo.

Cremona, la patria del torrone italiano

Torrone di Cremona

In Italia invece la storia del torrone è indissolubilmente legata alla città di Cremona. Qui, nel lontano 1441, durante il banchetto di nozze di Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, fu servito ai commensali un dolce bianco fatto di mandorle, miele e albume d’uovo che riproduceva per forma il Torrazzo della città dal quale il dolce avrebbe poi preso il suo nome attuale.

Esistono inoltre documenti del cinquecento che attestano che il torrone era uno dei prodotti d’eccellenza della città, tanto da essere compreso fra le specialità gastronomiche che la Magnifica Comunità di Cremona inviava alle autorità spagnole e al senato di Milano in occasione delle festività natalizie.

Ogni anno, durante il mese di novembre, Cremona celebra l’antico dolce con la Festa del Torrone, una settimana ricca di appuntamenti culturali e gastronomici che animano tutta la città.

Un solo dolce, diverse regioni

Come dicevamo in precedenza oggi il torrone non viene prodotto più solo a Cremona, sono molte le regioni italiane dove questo dolce è ormai considerato un prodotto tipico della tradizione natalizia.

In Abruzzo troviamo ad esempio il Torrone di Guardiagrele tipico della provincia di Chieti, realizzato con mandorle tostate, zucchero, frutta candita e cannella e il Torrone tenero al cioccolato aquilano. In Calabria ne esistono moltissime varietà: il Torrone di Bagnara, il torrone a poglia con mandorle, il torrone di anacardi con zucchero, il torrone gelato (morbido, con aromi e zucchero colorato, mandorle e canditi) e il torrone Cupeta di Montepaone.

Ancora di più sono le versioni del torrone in Campania dove troviamo il torroncino di Roccagloriosa, il torrone croccante di San Marco dei Cavoti, il torrone di Benevento, il torrone di castagna, il torrone di Grottaminarda, il torrone di Ospetaletto d’Alpionolo e il torrone di Dentecane.

In Molise abbiamo invece il torrone del papa, nel Lazio il torrone di Alvito, nelle Marche il torrone di Camerino, la crostata di torrone il panetto di fichi di Monsampolo del Tronto (noto come torrone di fichi). Mentre in Piemonte troviamo la tradizionale versione del torrone di nocciole, in Sicilia il torrone di Caltanisetta (con mandorle intere e pistacchi) e nel Veneto il mandorlato di Cologna Veneta e il torrone di San Giovanni Lupatoto.

Concludiamo con la Sardegna, terra ricca di diverse varietà come: il torrone di Pattada, il torrone di Tonara, il torrone di Sinnai, il torrone di Tuili e il torrone di Giba.

Il nostro appuntamento “Verso il Natale 2016” dedicato al torrone di conclude, a presto con un nuovo prodotto per realizzare il cesto natalizio perfetto.

Legge Gadda: stop allo spreco alimentare

Cari amici di CDA, interrompiamo questa settimana il nostro percorso Verso il Natale 2016, con i prodotti alimentari più apprezzati durante le feste, per parlavi di un importante traguardo. Pochi giorni fa, il 2 agosto scorso, è stata approvata la Legge Gadda contro gli sprechi alimentari e farmaceutici.

Le novità introdotte dalla legge Gadda

Il provvedimento semplifica notevolmente l’insieme di parametri che regolano le donazioni di tutti gli alimenti invenduti ma, cosa ancora più importante, stabilisce la priorità del recupero dei prodotti alimentari da destinare a tutte le persone bisognose del nostro Paese.

Un percorso che ha coinvolto tutti i protagonisti che operano nel recupero e nella redistribuzione del cibo in eccedenza, facendosi si che questo non venga sprecato, primo fra tutti il Banco Alimentare nella figura del suo DG Marco Lucchini che ha personalmente espresso grande soddisfazione per l’approvazione della Legge Gadda.

 “Siamo davvero soddisfatti per l’approvazione definitiva della Legge Gadda contro lo spreco alimentare che rende l’Italia un Paese all’avanguardia in Europa e nel mondo”, le sue parole.

I punti più importanti

  • Creazione di un quadro normativo dove inserire le norme esistenti in tema di agevolazioni fiscali, la responsabilità civile e le procedure per la sicurezza igienico sanitaria.
  • Definizione chiara di operatore nel settore alimentare, soggetti cedenti, eccedenze alimentari, spreco alimentare, donazione, termine minimo di conservazione e data di scadenza.
  • Possibilità per le autorità di donare alimenti oggetto di contesa alle no profit.
  • Agevolazioni amministrative per i donatori semplificando i procedimenti per donare e distribuire prodotti alimentari.
  • Valore prioritario del recupero di alimenti per il consumo umano evitandone la distruzione.
  • Riconoscimento del Tavolo Coordinamento del MIPAAF per la consultazione di tutte le parti coinvolte nella lotta allo spreco e alla povertà alimentare: aumento di 2 milioni di euro della donazione del Fondo Nazionale per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti e per l’acquisto di prodotti a loro destinati.
  • Campagne di comunicazione sulla RAI per incentivare le donazioni da parte delle aziende e sensibilizzare i consumatori in merito allo spreco alimentare.
  • Incoraggiamento dei rapporti con il mondo degli agricoltori per la raccolta in campo.
  • Possibilità per i comuni di favorire chi dona alle organizzazioni no profit con una riduzione sulla tassa dei rifiuti (TARI).

Alla prossima settimana con un nuovo appuntamento dedicato a “Verso il Natale 2016”.

Verso il Natale 2016: il pandoro

Nuovo appuntamento con “Verso il Natale”. Dopo avervi presentato il panettone, dolce milanese immancabile nella tradizione delle feste, vogliamo darvi un nuovo spunto per comporre il cesto di Natale perfetto.

Ecco quindi un altro prodotto gastronomico tipico della tradizione natalizia, il pandoro, dolce tipicamente Veneto ma ormai diffuso in tutta Italia, ideale per chi non ama uvette e canditi ma non vuole comunque rinunciare alle leccornie delle feste.

La storia del pandoro

Come abbiamo detto il pandoro è un dolce tipicamente veneto che deve le sue origini e alla città di Verona dove nel XIII secolo era conosciuto come “pane de oro” e servito sulle tavole della nobiltà veneziana.

Il pandoro come noi oggi lo conosciamo invece è nato nell’ottocento dal Nadalin (dolce veronese consumato durante il Natale ai tempi della dinastia Della Scala).  E’ Domenico Melegatti il papà del pandoro, fondatore dell’omonima industria dolciaria veronese. Proprio lui nel 1894 ha depositato il brevetto dell’autentica ricetta del dolce tipico veneziano: morbido e dalla caratteristica forma a stella, realizzato dal pittore impressionista Angelo Dell’Oca Bianca.

Se Melegatti è stata dunque la prima grande azienda a produrre il dolce a forma di stella esistono tuttavia altri machi leader nella grande distribuzione come ad esempio: Bauli, Maina, Balocco e Paluani.

La ricetta tipica del pandoro

Il pandoro è stato riconosciuto dal P.A.T tra i prodotti agroalimentari tradizionali nella sezione dedicata alle “Paste fresche e prodotti della panetteria, della biscotteria, della pasticceria e della confetteria.

Vediamo dunque quali sono gli ingredienti che non devono assolutamente mancare nella tradizionale ricetta del pandoro veronese:

  • Farina
  • Zucchero e zucchero a velo
  • Uova
  • Lievito
  • Burro e burro di cacao

Ingredienti semplici dunque a discapito della preparazione del pandoro che invece e piuttosto lunga e articolata e prevede diverse fasi: l’impasto infatti va fatto lievitare in in quattro fasi per un totale di cinque ore. Solo dopo l’ultima lievitazione in uno stampo imburrato, e un successivo riposo di 30-60 minuti, il dolce può essere finalmente cotto e mangiato.

Il secondo appuntamento con “Verso il Natale” si conclude qui. A presto con nuovi spunti per comporre un cesto di Natale perfetto!